Si è svolta oggi, come ormai di consueto a Prato, la VII edizione dell’Ecoforum di Legambiente Toscana sull’economia circolare, che ha messo a fuoco in modo trasversale la necessità di arrivare finalmente a definire e implementare una dotazione impiantistica in grado di chiudere il cerchio dei nostri rifiuti entro i confini regionali.
Ad oggi tutto questo non avviene: in Toscana si generano ogni anno circa 12 mln di ton di rifiuti – tra urbani e speciali –, per un terzo circa rifiuti derivanti dalla gestione di altri rifiuti (perché è bene ricordare che “l’impatto zero” esiste solo nelle favole). Rifiuti che in parte non sappiamo già ora dove gestire a causa di un quadro impiantistico carente, e il quadro potrebbe peggiorare ancora: rispetto al raggiungimento degli obiettivi Ue si profila (senza interventi correttivi) un deficit impiantistico al 2030 per almeno 597mila t/a guardando solo alla gestione delle frazioni secche non riciclabili meccanicamente. Un gap che si amplia a oltre 1 mln t/a considerando anche rifiuti organici e fanghi di depurazione.
«Il primo cantiere da avviare, anche qui in Toscana, riguarda quello della rete impiantistica per avvicinarsi all’obiettivo rifiuti zero a smaltimento, anche riguardo scarti, oggi più complicati da riciclare. Per farlo bene, serve la partecipazione, già nella fase autorizzativa, di persone, attività produttive e istituzioni e occorre lavorare per semplificare gli iter autorizzativi e sull’innalzamento qualitativo dei controlli ambientali pubblici», spiega il dg nazionale di Legambiente, Giorgio Zampetti.
Eppure in questi giorni le cronache parlano di quella che sembra profilarsi come l’ennesima sindrome Nimby, mossa da comitati che si stanno schierando contro l’ipotesi progettuale – avanzata dal gestore interamente pubblico che gestisce i servizi d’igiene urbana sul territorio – di realizzare a Empoli un innovativo impianto di riciclo chimico, verso il quale Legambiente si è già espressa a favore.
Un impianto che, peraltro, potrebbe dare finalmente risposta anche alla gestione di quei “rifiuti da rifiuti” di cui sopra. «Gli impianti che trattano i rifiuti differenziati, anche i più efficienti a livello nazionale come Revet per il multimateriale e ReAl per la carta – ricorda nel merito l’ad di Alia, Alberto Irace, nel suo intervento all’Ecoforum – presentano scarti in uscita pari al 35-40%, che finiscono in discarica. Il tema è come portare più avanti questa capacità di recupero: per questo abbiamo proposto i Distretti circolari, cioè impianti dove quegli scarti possono essere recuperati con la tecnologia waste to chemicals».
Lo stesso si può dire per altri rifiuti secchi, come il Css realizzato a partire dai nostri rifiuti indifferenziati attraverso “impianti a freddo” come i Tmb, le cosiddette “fabbriche di materia”: senza riciclo chimico le alternative sono i termovalorizzatori, le discariche o peggio ancora l’export, con disastri ambientali annessi. Come quello che nel 2015 ha coinvolto il Santuario dei cetacei, dove sono affondate decine di ecoballe di rifiuti in partenza dalla Toscana verso il cementificio di Varna per essere bruciate.
«Da un punto di vista ambientalista, una motonave che si fa 10mila miglia marine per andare a incenerire in un cementificio migliaia di tonnellate di plasmix pressato ci sollecita qualche interrogativo – argomenta il presidente di Legambiente Toscana, Fausto Ferruzza – Questo lo dico perché si sta surriscaldando il clima rispetto alle ipotesi di recupero chimico presentate nell’ambito di un avviso pubblico regionale: noi chiediamo massima trasparenza, di rafforzare i processi partecipativi (altrimenti non se ne viene a capo) ma con la stessa onestà intellettuale dobbiamo dire che non possiamo più permetterci altri incidenti come quello del Santuario dei cetacei. Dobbiamo prenderci la responsabilità di dire che se vale il principio che in discarica entro il 2035 potrà andare al massimo il 10% dei nostri rifiuti, e che è obsoleta la soluzione incenerimento, allora è necessario fare un po’ di recupero chimico oltre alla biodigestione anaerobica per la frazione dei rifiuti organici. Dobbiamo mettere in fila questi ragionamenti, altrimenti rischiamo di fare facile demagogia: è semplice solleticare il dissenso in un territorio, dato che oggi purtroppo le comunità non si fidano della politica, ma serve rimettere al centro un rigore morale per portare avanti una discussione colta, alta, sui contenuti e non sulle emozioni».
L’articolo Legambiente, il Distretto circolare e la «facile demagogia» contro la gestione dei rifiuti sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.