Secondo lo studio “Evidence and Mass Quantification of Atmospheric Microplastics in a Coastal New Zealand City”, pubblicato su Environmental Science & Technology da un team di ricercatori dell’università di Auckland, «Ogni anno 74 tonnellate di microplastica cadono dall’atmosfera sulla città di Auckland, l’equivalente di oltre 3 milioni di bottiglie di plastica che cadono dal cielo» e sottolinea che «Un gran numero di microplastiche nell’aria di Auckland sono di dimensioni estremamente ridotte, sollevando preoccupazioni circa il potenziale per le particelle di essere inalate e accumulate nel corpo umano».
L’autore principale dello studio, Joel Rindelaub, della School of Chemical Sciences di Waipapa Taumata Rau dell’università di Auckland, ha sottolineato che «E’ probabile che i ricercatori di tutto il mondo abbiano sottostimato drasticamente le microplastiche trasportate dall’aria». Infatti, i livelli trovati nell’aria di Auckland sono molte volte superiori a quelli registrati a Londra, Amburgo e Parigi negli ultimi anni perché gli scienziati neozelandesi hanno utilizzato metodi chimici sofisticati per trovare e analizzare particelle fino a 0,01 millimetri.
Lo studio è il primo a calcolare la massa totale di microplastiche nell’aria di una città e ne emerge che «Il numero medio di microplastiche aerodisperse rilevate in un metro quadrato in un giorno è stato di 4.885», molto di più della media di 771 a Londra (riportati in uno studio pubblicato nel 2020), di 275 ad Amburgo (2019) e di 110 a Parigi (2016), che sono città molto più grandi, con molto più traffico, industrie e inquinamento della piccola e pulita Auckland. Rindelaub evidenzia che «Il lavoro futuro deve quantificare esattamente la quantità di plastica che respiriamo. Sta diventando sempre più chiaro che questa è un’importante via di esposizione».
Le onde che si infrangono nel Golfo di Hauraki potrebbero svolgere un ruolo chiave nel problema di Auckland, diffondendo nell’aria microplastiche trasportate dall’acqua. Questo effetto sembrava essere all’opera quando Rindelaub e il suo team hanno registrato un aumento della densità di microplastiche dopo che i venti provenienti dal golfo hanno preso velocità, provocando onde più grandi e quindi maggiore diffusione di microplastiche.
Rindelaub.pensa che «La produzione di microplastiche trasportate dall’aria dalle onde che si infrangono potrebbe essere una parte fondamentale del trasporto globale di microplastiche. E potrebbe aiutare a spiegare come alcune microplastiche entrano nell’atmosfera e vengono trasportate in luoghi remoti, come qui in Nuova Zelanda». La conferma di questo fenomeno verrebbe anche dal fatto che le dimensioni delle particelle cambiavano con la direzione del vento: «Quando i venti attraversavano il centro di Auckland, le microplastiche sottovento erano più grandi – dicono i ricercatori – indicando che la plastica aveva subito un minore invecchiamento ambientale e proveniva da una fonte più vicina».
Nello studio si legge che «Negli ultimi 70 anni, a livello globale sono stati prodotti 8,3 miliardi di tonnellate di plastica. Solo il 9% è stato riciclato, mentre il resto è stato incenerito o rilasciato nell’ambiente». Le fibre disperse durante il lavaggio di indumenti sintetici, i frammenti diffusi dagli pneumatici delle auto e trascinati dalla pioggia nell’oceano e le bottiglie che galleggiano lungo i fiumi sono solo alcuni dei modi in cui la plastica penetra nell’ambiente. Gli agenti atmosferici e l’invecchiamento scompongono la plastica in particelle sempre più piccole. Il polietilene (PE) è stata la principale sostanza rilevata dallo studio, seguita dal policarbonato (PC) e dal polietilene tereftalato (PET). Il polietilene e il PET sono materiali di imballaggio mentre il PC è utilizzato nelle applicazioni elettriche ed elettroniche. Tutti e tre sono utilizzati anche nel settore edile.
Per realizzare lo studio, le microplastiche che cadono dall’aria sono state catturate da un imbuto e da un barattolo in una scatola di legno su un tetto del campus universitario nel centro cittadino e in un giardino residenziale a Remuera. L’esperimento è stato condotto per 9 settimane nei mesi di settembre, ottobre e novembre del 2020. Quasi tutte le microplastiche erano troppo piccole per essere viste ad occhio nudo e gli scienziati hanno identificato le particelle più piccole applicando un colorante che luce in determinate condizioni emetteva luce. Per analizzare la massa è stato utilizzato un trattamento termico.
Rindelaub evidenzia che «Più piccole erano le gamme di dimensioni che abbiamo esaminato, più microplastiche abbiamo visto. Questo è notevole perché le dimensioni più piccole sono le più rilevanti dal punto di vista tossicologico».
Le nanoplastiche, le particelle più piccole, possono potenzialmente entrare nelle cellule, attraversare la barriera emato-encefalica e accumularsi in organi come testicoli, fegato e cervello e lo studio afferma che «Le microplastiche sono state rilevate anche nei polmoni umani e nel tessuto polmonare dei malati di cancro, indicando che l’inalazione di microplastiche atmosferiche è un rischio di esposizione per l’uomo».
Lo studio è servito anche a creare metriche di segnalazione in modo da poter confrontare meglio gli studi sulle microplastiche trasportate dall’aria e che ora potrebbero essere standardizzate.
L’articolo L’inquinamento da microplastiche nell’aria di Auckland equivale a milioni di bottiglie di plastica all’anno sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.