Nell’ultimo anno censito dall’Ispra (2020), la raccolta differenziata dei rifiuti urbani è arrivata a toccare in Italia la soglia del 63%: un dato ancora lontano da quel 65% che per legge avremmo dovuto traguardare entro il 2012, dieci anni fa. La necessità di uno sprint è evidente, e potrebbe arrivare lavorando su due fronti: da una parte ridurre corruzione e “maladministration”, dall’altra aumentare la presenza femminile nei Consigli comunali.
È quanto suggerisce lo studio The factors affecting Italian provinces’ separate waste-collection rates: An empirical investigation, appena pubblicato sulla rivista Waste Management e condotto dalla professoressa Giulia Romano dell’Università di Pisa insieme a un gruppo di economisti delle università di Firenze, Chieti-Pescara e L’Aquila.
La ricerca ha analizzato i dati di 103 province italiane nell’arco di dieci anni, dal 2007 al 2016, considerando una serie di fattori socioeconomici. Dai risultati è emerso che il tasso di raccolta differenziata è maggiore dove i reati contro la pubblica amministrazione sono più perseguiti, dove ci sono più donne elette nei consigli comunali e dove gli abitanti hanno reddito, età e titolo di studio più alti. Al contrario, il tasso di raccolta differenziata è minore quanto aumentano la numerosità dei nuclei familiari, il tasso di occupazione giovanile, la produzione di rifiuti pro capite e il ricorso alle discariche.
«Abbiamo messo in relazione fattori come corruzione e reati contro la pubblica amministrazione e presenza femminile nei consigli comunali per valutare la gestione dei rifiuti in Italia – spiega Romano – in particolare i risultati mostrano che le donne, nel loro ruolo di consigliere comunali, sono più sensibili degli amministratori uomini nel raggiungere gli obiettivi previsti di raccolta differenziata. E l’essere donne vale ancora più che essere giovani: la nostra analisi ha mostrato che il genere incide di più rispetto all’età nel promuovere comportamenti ambientalmente virtuosi».
È necessario però ricordare che il tasso di raccolta differenziata è sì un dato utile per misurare questi “comportamenti ambientalmente virtuosi”, ma assai parziale anche limitando le osservazioni al solo ciclo di gestione rifiuti.
La raccolta differenziata rappresenta infatti uno strumento per il riciclo, non un fine in sé. Ad esempio, dunque, per misurare la concreta sostenibilità del processo occorre andare ad osservare almeno la qualità della raccolta differenziata (sia in Toscana sia in Italia il 20% circa è da buttare di nuovo, a causa di errati conferimenti da parte della cittadinanza) e la presenza di impianti adeguati per gestirla lungo tutta la filiera.
Basti pensare che prima di giungere agli impianti i rifiuti urbani macinano (entro i nostri confini) 62 mln di km l’anno e gli speciali (che sono il quintuplo dei rifiuti urbani) 1,2 mld di km l’anno, a spese nostre e dell’ambiente. Avere un Consiglio comunale che, ipoteticamente, spinge sulla raccolta differenziata ma respinge la possibilità di realizzare gli impianti industriali necessari a valorizzarla sul proprio territorio (come accade nelle sindromi Nimto, non nel mio mandato elettorale), non sarebbe dunque questo grande guadagno per l’ambiente. E lo stesso vale per la chiusura del ciclo: quanti Comuni, coi loro acquisti pubblici, comprano prodotti riciclati favorendone la re-immissione sul mercato? Bene insomma la raccolta differenziata, sapendo però che c’è (molto) di più per capirne la reale sostenibilità.
L’articolo Meno corruzione e più donne nei Consigli comunali fanno bene alla raccolta differenziata sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.