Le microplastiche, ormai le conosciamo benissimo, sono frammenti minuscoli e quasi indistruttibili rilasciati dai prodotti di plastica che usiamo tutti i giorni. Già note per essere presenti nei nostri oceani e nel suolo, ora le stiamo scoprendo nei luoghi più improbabili: nelle nostre arterie, nei polmoni e persino nella placenta.

E quello che spesso viene taciuto è che quelle microplastiche possono impiegare dai 100 ai 1.000 anni per degradarsi, il tempo in cui il nostro pianeta e i nostri corpi diventano ogni giorno sempre più contaminati.

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Stiamo appena iniziando a comprendere le implicazioni delle microplastiche. Abbiamo solo scalfito la superficie della conoscenza degli impatti sull’ambiente e sulla salute – dice il professore di chimica e biochimica Michael Burkart, uno degli autori dello studio e co-fondatore di Algenesis. Stiamo cercando di trovare sostituti per i materiali già esistenti e di assicurarci che si biodegradino alla fine della loro vita utile invece di depositarsi nell’ambiente.

@Nature Scientific Reports

Quando abbiamo creato per la prima volta questi polimeri a base di alghe, circa sei anni fa, la nostra intenzione è sempre stata che fossero completamente biodegradabili”, ha detto un altro degli autori dell’articolo, Robert Pomeroy. Avevamo molti dati che suggerivano che il nostro materiale stava scomparendo nel compost, ma questa è la prima volta che lo abbiamo misurato a livello di microparticelle.

Lo studio

Per testarne la biodegradabilità, il team ha macinato il prodotto in fini microparticelle e ha utilizzato tre diversi strumenti di misurazione per confermare che, una volta collocato in un compost, il materiale veniva digerito completamente dai microbi.

Il primo strumento era un respirometro. Quando i microbi scompongono il materiale del compost, rilasciano anidride carbonica (CO2), che il respirometro misura. Questi risultati sono stati confrontati con la degradazione della cellulosa, che è considerata lo standard industriale della biodegradabilità al 100%. Il polimero di origine vegetale corrispondeva alla cellulosa quasi al 100%.

@Nature Scientific Reports

Il team ha poi utilizzato la flottazione dell’acqua: poiché la plastica non è solubile in acqua e galleggia, può essere facilmente rimossa dalla superficie. A intervalli di 90 e 200 giorni, quasi il 100% delle microplastiche a base di petrolio veniva recuperato, il che significa che nessuna di esse era biodegradata. D’altro canto, dopo 90 giorni, solo il 32% delle microplastiche a base di alghe è stato recuperato, dimostrando che più di due terzi di esse erano biodegradate. Dopo 200 giorni, solo il 3% è stato recuperato, indicando che il 97% era scomparso.

L’ultima misurazione ha coinvolto l’analisi chimica tramite gascromatografia/spettrometria di massa (GCMS), che ha rilevato la presenza dei monomeri utilizzati per produrre la plastica, indicando che il polimero si stava scindendo nei suoi materiali vegetali di partenza. La microscopia elettronica a scansione ha inoltre mostrato come i microrganismi colonizzano le microplastiche biodegradabili durante il compostaggio.

@Nature Scientific Reports

Questo materiale è la prima plastica che ha dimostrato di non creare microplastiche mentre la usiamo – spiega Stephen Mayfield, coautore dell’articolo. Questa è molto più di una semplice soluzione sostenibile per il ciclo di vita del prodotto finale e per le nostre discariche affollate.

Creare un’alternativa ecologica alla plastica a base di petrolio è solo una parte della lunga strada verso la sostenibilità. La sfida attuale, concludono i ricercatori, è riuscire a utilizzare il nuovo materiale su apparecchiature di produzione preesistenti originariamente costruite per la plastica tradizionale.

Lo studio è pubblicato su Scientific Reports.

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