L’articolo 56, comma 7, della legge 221 del 2015 (cosiddetto ‘Collegato ambiente’ ) ha istituito un Fondo per portare avanti le bonifiche da amianto negli edifici pubblici, con una dotazione di circa 12 milioni di euro, pensati per essere spesi nel triennio 2016-18. Eppure, a sette anni di distanza dalla legge, solo il 30% dei fondi è stato speso: 8 milioni di euro sono ancora lì, come documenta l’elaborazione condotta dal Centro studi enti locali (Csel), per l’Adnkronos.
A trent’anni esatti dall’approvazione della legge 257/1992, che in Italia ha messo al bando l’estrazione, l’importazione, la produzione e commercializzazione di amianto e di prodotti che lo contengono, secondo Legambiente solo il 25% della fibra killer è stato effettivamente rimosso e, continuando a questo ritmi, per liberarsene serviranno altri 75 anni, cui sommare ulteriori 40 anni di latenza del mesotelioma.
Un problema che riguarda almeno 50.744 edifici pubblici, secondo il Cigno verde, compresi i più sensibili. Non a caso il Collegato ambientale dà priorità agli edifici pubblici collocati all’interno, nei pressi o comunque entro un raggio non superiore a 100 metri da asili, scuole, parchi gioco, strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali, impianti sportivi.
Eppure la risposta delle pubbliche amministrazioni è stata molto flebile. Gli avvisi attuativi del ‘Collegato ambiente’, infatti, hanno portato all’assegnazione di 1.318.113 euro per 242 interventi nel 2017, 853.223 per 140 interventi nel 2019, 417.345 euro per 63 interventi nel 2021 e 1.188.670 euro per 191 interventi nell’ultima graduatoria, pubblicata lo scorso febbraio. Solo 636, dunque, i progetti globalmente finanziati.
Per quale motivo? L’analisi Csel purtroppo non si sofferma sul quesito, ma è facile indicare almeno due responsabili. Da una parte, è plausibile ipotizzare una carenza di personale e competenze per seguire adeguatamente il tema, almeno nei Comuni più piccoli; dall’altra, resta la cronica carenza di discariche di prossimità, adeguate a smaltire in sicurezza i rifiuti contenenti amianto che inevitabilmente esitano dalle bonifiche. Senza questi impianti disponibili sul territorio è inevitabile ricorrere all’export dei rifiuti contenti amianto, come puntualmente avviene – soprattutto la Germania – aumentando però esponenzialmente i costi ambientali ed economici dell’operazione, col risultato che troppo spesso la bonifica non si realizza.
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