I pannolini monouso convenzionali dominano il mercato. Composti da plastica, polimeri e cellulosa, garantiscono assorbenza e praticità, ma con un costo ambientale elevatissimo. Ogni pannolino richiede fino a 34 litri d’acqua solo per la produzione.
Il fine vita è il vero nodo: questi prodotti finiscono in discarica e impiegano fino a 500 anni per degradarsi. Negli Stati Uniti, se ne smaltiscono oltre 4 milioni di tonnellate ogni anno. Nessuna infrastruttura attuale consente di recuperarli o trasformarli in risorsa.
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Compostabili “naturali”: tra sperimentazione e retorica
Molte aziende hanno introdotto sul mercato pannolini definiti “biodegradabili” o “compostabili”, realizzati con bamboo, canna da zucchero o cotone, e una minima percentuale di plastica per garantire le performance igieniche. In teoria, dovrebbero degradarsi in ambienti controllati. In pratica, la quasi totalità degli impianti di compostaggio domestico e municipale non accetta pannolini usati, per motivi igienico-sanitari. Il risultato è che anche i pannolini “naturali” finiscono in discarica, vanificando le promesse.
Un’indagine pubblicata dal sito inglese Trellis ha mostrato come questo segmento di mercato sia in piena espansione (da 4 a 8 miliardi di dollari previsti entro il 2033), ma alimentato in buona parte da operazioni di comunicazione che sfruttano termini ambigui. La plastica — pur ridotta — è ancora presente, e non scompare con un’etichetta “green”.
Tecnologie emergenti: fungo sì, fungo no
La startup texana Hiro Technologies ha proposto un sistema in cui pannolini parzialmente vegetali vengono “digeriti” da un ceppo di funghi selezionati, in grado di degradare anche la plastica. I risultati in laboratorio sono promettenti: compost in meno di un anno. Tuttavia, la tecnologia è ancora in fase sperimentale, non disponibile sul mercato e lontana dall’essere implementata su larga scala. Nessuna amministrazione pubblica è oggi in grado di supportare una raccolta o trattamento compatibile con questo sistema.
Greenwashing e confusione sistemica
Il mercato è saturo di claim ambientali non verificabili. Il termine “compostabile” viene usato in modo generico, senza distinguere tra compostabilità industriale e domestica, né specificare le condizioni reali di smaltimento. Le infrastrutture di trattamento specializzate sono rare, costose e accessibili solo a piccole comunità o programmi pilota. Alcune aziende, come gDiapers o Dyper in collaborazione con TerraCycle, hanno avviato progetti di compostaggio industriale dei pannolini, ma restano esperienze marginali, non ancora replicabili su scala globale.
L’unica soluzione eco per i pannolini
Al netto delle sperimentazioni, delle etichette e delle campagne pubblicitarie, la situazione è chiara: i pannolini lavabili sono l’unica alternativa ecologicamente coerente e attuabile oggi. Riduzione drastica dei rifiuti, impatto idrico contenuto, possibilità di riuso e modelli economici già collaudati. Realizzati in cotone o altri tessuti riutilizzabili, i pannolini lavabili comportano un impatto ambientale iniziale legato alla produzione e al lavaggio, ma lo ammortizzano ampiamente con l’uso ripetuto.
Un bambino nei primi due anni di vita consuma circa 14.000 litri d’acqua con i lavabili, contro 187.000 litri necessari per i pannolini usa e getta). Anche dal punto di vista economico, il confronto è netto: 400–800 euro per i lavabili, contro 1.300 euro in media per i monouso. Non meno rilevante è la riduzione di rifiuti: nessun pannolino lavabile finisce in discarica se correttamente gestito, e può essere riutilizzato per più figlie/i o donato.
Tutte le altre opzioni — compostabili inclusi — restano, per ora, soluzioni parziali, fortemente dipendenti da infrastrutture inesistenti o da tecnologie non ancora disponibili. In assenza di un ciclo di vita realmente chiuso, parlare di “sostenibilità” per questi prodotti è, nei fatti, prematuro.
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AGGIORNAMENTO DEL 4 AGOSTO 2025
Intanto negli scorsi giorni presso il Centro Ingegneria i-Foria, a Spresiano (TV), e alla presenza di partner, istituzioni e stakeholder, è stato inaugurato l’impianto dimostrativo più avanzato al mondo per il riciclo integrale dei prodotti assorbenti per la persona (PAP), come pannolini, dispositivi per l’incontinenza e assorbenti igienici.
i-Foria Italia è la scale up innovativa che ha sviluppato e brevettato una tecnologia rivoluzionaria con la quale è possibile riciclare fino al 100% dei rifiuti derivanti dai prodotti assorbenti per la persona (PAP), come pannolini e prodotti simili, trasformandoli in Materie Prime Seconde (materiale assorbente e plastica) che potranno essere reintegrate in nuovi cicli industriali, contribuendo in maniera significativa alla creazione di una vera economia circolare.
“Il processo – scrive la scale-up – non solo rispetta i più stringenti criteri di sicurezza, ma offre anche una soluzione concreta per ridurre l’enorme quantità di rifiuti da PAP che attualmente finisce in discarica o negli inceneritori e rappresenta un grave problema ambientale per tutti i paesi.Grazie al primo seed round di fund raising da 1,7 milioni di euro, completato a ottobre 2024 con Tech4Planet – il Polo Nazionale di Trasferimento Tecnologico per la Sostenibilità Ambientale promosso da CDP Venture Capital, e MITO Tech Ventures – fondo di venture capital art. 9 SFDR lanciato da MITO Technology, e a partnership strategiche, i-Foria punta ora all’espansione commerciale della propria tecnologia su scala industriale, a partire dal primo impianto PNRR già aggiudicato a Capannori (LU) e da ulteriori gare in corso”.
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