*di Marta Tarasconi
C’è chi li vede come soluzione definitiva all’eccessivo impatto del settore tessile, chi invece crede che vadano ancora esplorati e migliorati. I materiali bio based sono ancora oggi molto discussi e poco capiti dai consumatori finali. Se da un lato la domanda di prodotti tessili (si stima che nel 2030 saranno prodotti 145 milioni di tonnellate di capi) continua a sfruttare risorse non rinnovabili, ad esempio producendo fibre sintetiche con combustibili fossili, dall’altro la fase di estrazione delle materie prime e produzione dei capi continua ad essere la fase più impattante.
Anche per questo la ricerca di fibre alternative è una frontiera sempre più esplorata, proprio a partire da materie prime di origine biologica: si moltiplicano infatti gli esperimenti volti a trasformare in tessuti scarti alimentari, funghi, batteri e altri materiali “inaspettati”.
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Materiali bio based: cosa sono e quali sono utilizzati di più?
D’altro canto le fibre bio based hanno il vantaggio di derivare da una fonte rinnovabile. Esistono due grandi tipologie di fibre bio based: da un lato quelle di origine naturale, che possono derivare da fonti naturali (canapa, cotone, ananas…) o da fonti animali (lana, seta…), dall’altro quelle di origine artificiale, che possono derivare da polimeri naturali (modal, lyocell, acetato) o sintetici (bio PET, bio PPT…).
“L’aumento della produzione globale di fibre può essere guidato da diversi fattori, fra cui l’incremento della popolazione, l’apparente inerzia culturale legata al fast fashion e la crescente accessibilità economica delle fibre sintetiche” spiega a EconomiaCircolare.com Edoardo Lozza, professore ordinario di Psicologia dei consumi e del marketing all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. “D’altro canto, la dipendenza da risorse non rinnovabili, in particolare le fibre derivate dai combustibili fossili, rappresenta una sfida ambientale significativa: l’urgenza di sviluppare alternative sostenibili è dunque chiara, ma la transizione dipenderà oltre che dalla capacità dell’industria di innovare, anche e soprattutto dall’accettazione dei consumatori, spesso frenati da fattori come il prezzo, la percezione della qualità e la mancanza di consapevolezza”.
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Vantaggi e limiti delle fibre bio-based
Tra i vantaggi indiscussi delle fibre bio-based c’è la loro origine da materie prime rinnovabili, con un impatto ambientale inferiore rispetto a quelle derivate da fonti fossili. Tuttavia, altri vantaggi come la biodegradabilità possono essere messi in discussione a seconda della fibra e del processo di lavorazione.
A questo vanno aggiunti anche i limiti, come la competizione per i terreni agricoli, la deforestazione per estrarre cellulosa, processi di lavorazione che influenzano la biodegradabilità, l’uso eccessivo di risorse come acqua e suolo, e in alcuni casi l’uso intensivo di pesticidi e fertilizzanti. Inoltre c’è il problema della dispersione delle microfibre.
Per trovare soluzioni efficaci serve un approccio sistemico, che oltre alle innovazioni consideri l’intero ciclo di vita del prodotto. Le aziende devono limitare gli impatti ambientali e sociali, ma anche noi consumatori dobbiamo fare la nostra parte, informandoci e pretendendo maggiore trasparenza.
Come vengono accolti i capi bio based dai consumatori?
Il lavoro di chi fa comunicazione in ambito di moda bio-based, non è sicuramente tra i più facili. C’è ancora poca conoscenza di questi materiali e c’è anche tanto scetticismo, perché molte persone non hanno chiare le potenzialità e i benefici. A questo si aggiunge anche un livello di fiducia generalmente scarso, anche per la maggiore consapevolezza dei rischi di greenwashing legati alla comunicazione “green”.
Secondo uno studio del 2023 intitolato “Social perspectives towards bio based products and textiles”, gli elementi da considerare per comprendere la percezione dei consumatori sui capi bio-based sono diversi: si va dal grado di consapevolezza alla disponibilità di informazioni sul prodotto, dai fattori che guidano le scelte di acquisto fino ai i benefici e ai limiti percepiti.
Non a caso il 32% delle persone intervistate nell’ambito della ricerca si definisce non abbastanza consapevole in materia, anche in virtù della carenza di informazioni disponibili sul tema. Ma quali sono le informazioni ritenute più utili a orientare la scelta d’acquisto?
Sicuramente quelle sulla riciclabilità dei prodotti e sulla riduzione di emissioni di CO2, mentre sono più marginali le notizie sui possibili benefici sulla salute e sulla percentuale di materiali bio.based utilizzata. Altri benefici poi che i consumatori hanno iniziato a ricercare più recentemente sono il miglioramento dell’estetica dei capi bio-based, l’aumento della circolarità e una riduzione dell’impatto sociale.
Ma perché ancora oggi c’è poca consapevolezza?
Il professor Lozza chiarisce la portata delle informazioni raccolte. “Il dato che solo il 32% degli intervistati si dichiari poco consapevole dei capi bio-based riflette con buona probabilità una problematica più ampia legata alla comunicazione nei settori ad alto sviluppo e innovazione tecnologica, come può essere oggi considerato il settore tessile” fa notare il docente della Cattolica.
“Spesso i consumatori ricevono informazioni frammentarie o in termini troppo tecnici, rendendo difficile distinguere i reali benefici dei prodotti bio-based rispetto a quelli convenzionali. Inoltre la percezione di rischio – che per qualsiasi prodotto innovativo è sempre marcata e che in questo caso si riflette ad esempio sui dubbi sulla durabilità e sul comfort di questi materiali – possono frenare l’interesse. Per colmare questo gap, è fondamentale una maggiore educazione del consumatore, supportata da etichette chiare, certificazioni riconosciute e strategie di marketing che enfatizzino non solo il valore ambientale, ma anche i benefici tangibili in termini di qualità ed esperienza d’uso”.
Fattori che guidano – e ostacolano – i consumatori nell’acquisto
Diversi esperti ed esperte del comportamento dei consumatori fanno notare che la moda non è solo questione di trend, ma un vero e proprio status. “Attraverso ciò che indossiamo, scegliamo come presentarci al mondo, e spesso il nostro stile cambia in base al contesto sociale in cui ci vogliamo inserire” evidenzia Carla Lunghi, che all’Università Cattolica del Sacro Cuore insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi. E aggiunge: “Spesso i criteri che spingono ad acquistare un capo sono tutt’altro che razionali. Ecco perché quando scegliamo di indossare un capo, ci stiamo identificando con i valori del brand. Una parte dei consumatori può essere mossa da valori personali come la sostenibilità, ma ciò che prevale – continua Lunghi – è l’estetica e i valori del brand con cui ci associamo”.
“Il prezzo è comunque un fattore chiave”, ci ricorda il professor Lozza. Sempre più consumatori sono attenti al valore economico e non tutti ad oggi percepiscono il valore ambientale che giustifica il prezzo di un capo bio-based. A questo, come accennato, si aggiungono altre resistenze basate su motivazioni di natura pratica, come ad esempio stereotipi legati alla qualità, alla manutenzione o alla durabilità dei capi di origine biologica.
Un fattore chiave: la durabilità
Quando parliamo di capi bio-based tendiamo ad associare, erroneamente, alla biodegradabilità del capo la presunzione di una durata minore rispetto a un capo non biodegradabile. In realtà, secondo studi recenti, non è vero che un capo biodegradabile è meno durevole, anzi.
La durabilità può essere migliorata grazie a rivestimenti specifici, che tra l’altro non vanno ad aumentare l’impatto ambientale della fibra e non ne ledono la biodegradabilità. La ricerca di capi meno impattanti prosegue dunque. E spesso con successo. Non resta che colmare il gap informativo che crea diffidenza e pregiudizio nei consumatori.
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Questo articolo è uno degli elaborati pratici conclusivi della nona edizione del corso online di giornalismo d’inchiesta ambientale organizzato da A Sud, CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ed EconomiaCircolare.com in collaborazione con il Goethe Institut di Roma, il Centro di Giornalismo Permanente e il Constructive Network
L’articolo Perché i capi bio-based non conquistano i consumatori? proviene da EconomiaCircolare.com.