La plastica compostabile si è imposta ormai da diversi anni come alternativa a quella tradizionale, altamente inquinante. Ancora oggi, però, in tanti finiscono per smaltirla in maniera inadeguata. E non è del tutto chiaro cosa si intenda per materiale compostabile. Per essere considerato tale un prodotto deve presentare le seguenti caratteristiche:

biodegradabilità (ovvero deve degradarsi del 90% entro 6 mesi)
disintegrabilità (almeno il 90% deve frammentarsi nel compost finale entro 3 mesi)
assenza di effetti negativi sul processo di compostaggio e sul prodotto finale

Ma è un buona idea, quindi, gettare via posate, piatti o imballaggi realizzati in bioplastica nella compostiera domestica? La risposta è: no. Questi rifiuti, infatti, vanno conferiti nell’umido, in quanto sono destinati ad essere smaltiti in appositi impianti e nella compostiera i tempi di decomposizione si dilatano anche parecchio.

A confermarlo è un nuovo studio realizzato dai ricercatori dell’University College di Londra e apparso sulla rivista scientifica Frontiers. Dalla ricerca è emerso che il 60% della plastica compostabile non si degrada completamente nelle compostiere domestiche, finendo inevitabilmente nel suolo.

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La maggior parte della plastica compostabile non è adatta alle compostiere domestiche: lo studio britannico

Per giungere al risultato gli studiosi hanno portato avanti un esperimento, nell’arco di 24 mesi, a cui hanno preso parte i cittadini inglesi. Prima, però, il team di scienziati ha voluto sottoporli a un sondaggio per appurare il grando di consapevolezza relativo alla plastica compostabile e al suo corretto smaltimento.

I partecipanti all’esperimento sono stati invitati a gettare rifiuti in plastica compostabile nelle loro compostiere domestiche. E alla fine il risultato ha sorpreso (negativamente) gli scienziati: il 60% della plastica – certificata come adatta al compost domestico – non si era disintegrata completamente entro i 6 mesi.

Gli imballaggi compostabili non si decompongono in modo efficace nelle condizioni di compostaggio domestico del Regno Unito, creando inquinamento da plastica” – sottolinea la ricercatrice Danielle Purkiss, una degli autori dello studio. – Anche gli oggetti che sono stati certificati come compostabili in casa non si disintegrano in modo efficace.

Ciò pone un serio problema, visto che la maggior parte dei cittadini ha spiegato di utilizzare il loro compost per arricchire i loro orti e giardini.

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Ma dalla ricerca condotta dall’University College di Londra è venuto fuori anche un altro elemento degno di nota: ovvero una grande confusione e poco trasparenza in merito all’etichettatura presente sugli imballaggi ed oggetti in bioplastica. materiali bioplastici.

Su un campione di 50 oggetti, il 46% non mostrava alcuna certificazione di compostaggio domestico identificabile o etichettatura standard, mentre il 14% presentava una certificazione di compostaggio industriale.

“Ciò dimostra che attualmente mancano etichette trasparenti e una comunicazione chiara chiare per garantire che il pubblico possa identificare ciò che è compostabile industrialmente, gli imballaggi compostabili in ambito domestico e come smaltirli correttamente” ha aggiunto Purkiss.

In conclusione, quando si butta un oggetto o un imballaggio in plastica compostabile bisogna sempre ricordarsi di conferirlo nell’umido. Questi rifiuti subiscono poi un trattamento specifico in impianti di compostaggio industriale (anche se non tutti sono in grado di smaltirli correttamente) per  essere successivamente trasformati in compost. Per quanto riguarda il nostro Paese, grazie al riciclo delle bioplastiche, vengono prodotte oltre 2 milioni di tonnellate di compost e risparmiate 4,3 milioni di tonnellate/anno di C02.

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Fonte: Frontiers 

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