Il coordinatore umanitario dell’Onu in Yemen, David Gressly, ha avvertito che per la petroliera UST Safer, una vera e propria bomba ecologica a orologeria nel Mar Rosso, «Sono necessari finanziamenti critici e un’azione tempestiva per evitare che la petroliera in disfacimento ancorata vicino alla costa dello Yemen provochi una grave fuoriuscita di petrolio».
La UST Safer è una floating storage and offloading (FSO), una neve vecchissima, ben 45 anni, che contiene 1,1 milioni di barili di petrolio, 4 volte la quantità di greggio fuoriuscito dalla Exxon Valdez, la petroliera che ha causato uno dei più grandi disastri ambientali nella storia degli Stati Uniti. A causa del prolungarsi della guerra nello Yemen, l’Onu evidenzia che ormai «C‘è un rischio imminente di fuoriuscita di un’enorme quantità di petrolio a causa di perdite o esplosioni». Gressly aggiunge che «Se dovesse accadere, la fuoriuscita scatenerebbe una massiccia catastrofe ecologica e umanitaria incentrata su un Paese già decimato da oltre 7 anni di guerra».
Infatti, aa oltre 30 anni l’UST Safer è ormeggiato a circa 4,8 miglia nautiche a sud-ovest della penisola di Ras Issa, sulla costa occidentale dello Yemen. Il rifornimentoe lo scarico di petrolio (e la manutenzione) sono cessati nel 2015 a causa della guerra tra la coalizione sunnita a guida saudita che attualmente controlla il sud dello Yemen e i ribelli Houthi che governano la capitale Sana’a e il nord dello Yemen. Ormai la petroliera non è più riparabile e Gressly ha ribadito che «Una fuoriuscita significativa avrebbe conseguenze devastanti per lo Yemen e oltre. Potrebbero essere spazzati via istantaneamente i mezzi di sussistenza di circa 200.000 persone in un Paese già in guerra e devastato dalla crisi e le famiglie sarebbero esposte a tossine pericolose per la vita. Un grande sversamento petrolio probabilmente farebbe chiudere, almeno temporaneamente, i porti di Hudaydah e Saleef», che sono i punti da dove entrano nello Yemen cibo, carburante e rifornimenti.
Gressly fa notare che «Il disastro avrebbe un grave impatto ambientale sull’acqua, sulle barriere coralline e sulle mangrovie che supportano la vita. A rischio anche Arabia Saudita, Eritrea, Gibuti e Somalia. La sola bonifica della marea nera costerebbe 20 miliardi di dollari. E questo non tiene conto del costo del danno ambientale in tutto il Mar Rosso. O i miliardi che potrebbero andare persi a causa delle interruzioni della navigazione attraverso lo stretto di Bab al-Mandab, che è anche un passaggio per il Canale di Suez. Pensate all’Ever Given», cioè l’enorme nave portacontainer che si incaglio di traverso nel Canale di Suez un anno fa, interrompendo il commercio globale.
Per evitare danni economici miliardari e danni ambientali e umani incalcolabili, l’Onu ha un piano con un costo complessivo di circa 80 milioni di dollari e che può essere attuato approfittando della tregua del Ramadam – estesa per due mesi – concordata tra Houthi sciiti e coalizione militare sunnita. Un piano che ha già il sostegno del governo yemenita di Aden- il governo fantoccio filo-saudita riconosciuto a livello internazionale – mentre, spiega l’Onu, «E’ stato firmato un memorandum d’intesa con le autorità de facto della capitale, Sana’a, che controllano l’area in cui si trova l’UST Safer».
Gressly sottolinea che «Il piano corre su due binari, che verranno percorsi contemporaneamente. Richiede l’installazione di un sostituto a lungo termine per la petroliera decrepita entro un periodo di 18 mesi e un’operazione di emergenza per trasferire il petrolio su una nave temporanea sicura nell’arco di 4 mesi, eliminando così qualsiasi minaccia immediata. Sia l’UST Safer che la nave temporanea rimarrebbero sul sito fino a quando tutto il petrolio non sarà trasferito alla nave sostitutiva permanente. L’UST Safer verrebbe quindi rimorchiata in un cantiere e venduto per la demolizione».
Per raccogliere i fondi per questa operazione urgente, a maggio sarà annunciata una conferenza di donazioni, co-ospitata dai Paesi Bassi. Intanto Gressly questa settimana farà visita nelle capitali dei Paesi del Golfo per discutere il piano e raccogliere sostegno finanziario e conclude: «La necessità di finanziamenti è urgente, senza di essi la “bomba a orologeria” continuerà a ticchettare. In particolare, la mia preoccupazione è che dobbiamo terminare davvero terminare questa operazione entro la fine di settembre, per evitare i venti turbolenti che iniziano nell’ultima parte dell’anno, aumentando sia il rischio di rottura che nello svolgimento di qualsiasi operazione. Quindi i tempi sono stretti».
E soprattutto bisognerà che la tregua regga, mentre dallo Yemen arrivano già notizie di nuovi bombardamenti sauditi.
L’articolo Piano Onu per prevenire la marea nera della vecchia petroliera ancorata al largo dello Yemen sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.