Il gestore unico e interamente pubblico dei servizi d’igiene urbana lungo l’Ato Toscana costa, Retiambiente, ha avviato una collaborazione coi comitati “rifiuti zero” – o meglio con l’associazione che li riunisce, Zero waste Italia – per provare a capire come ridurre i rifiuti urbani indifferenziati e massimizzare il loro riciclo.
Una collaborazione che ha appena dato vita a un nuovo Gruppo tecnico di ricerca e sviluppo, che lavorerà per sei mesi (eventualmente prorogabili) per poi redigere un report conclusivo, nella speranza di poter indicare migliorie tecniche da introdurre nell’impianto di trattamento meccanico-biologico (Tmb) presente a Pioppogatto; non a caso la prima riunione del Gruppo si è svolta proprio nella sede del Comune di Massarosa.
L’intera iniziativa nasce appunto dai Comuni del territorio, e vede la fattiva collaborazione di Ersu, ovvero la Società operativa locale (Sol) attraverso la quale Retiambiente eroga i servizi d’igiene urbana nell’area.
«Il mantra della nostra organizzazione, su indicazione dei sindaci e dei Comuni, è quello di spingere sulla raccolta differenziata, spesso col metodo del porta a porta, per poi avviare al riciclo quanti più rifiuti possibili – spiega il presidente di Retiambiente, Daniele Fortini – Abbiamo risultati eccellenti grazie anche alla collaborazione dei cittadini (l’Ato costa ha il record toscano della raccolta differenziata col 70,27%, ndr), ma restano rifiuti indifferenziati da trattare. Questi vanno in impianti di trattamento meccanico biologici, cosiddetti “impianti a freddo”, che possono essere migliorati. Assieme all’associazione Zero waste vogliamo verificare quali tecniche, quali processi, quali protocolli possono essere introdotti al fine di migliorare la capacità di togliere da quei rifiuti matrici ancora riciclabili».
In particolare, il Gruppo tecnico tenterà di individuare: soluzioni tecniche innovative capaci di ridurre i residui indifferenziati; massimizzazione del recupero di materie riciclabili e re-impiegabili da detti rifiuti, anche attraverso la modifica dei processi di trattamento meccanico e meccanico-biologico attualmente in uso presso il Tmb di Massarosa; tecniche, processi e protocolli innovativi e finalizzati all’obiettivo della massima riduzione dei rifiuti da trattare.
Per raggiungere questo triplice obiettivo, il Gruppo tecnico vedrà lavorare congiuntamente (e gratuitamente) un eterogeneo gruppo di esperti, composto da Paolo Ghezzi (coordinatore dei progetti industriali di Retiambiente), Walter Bresciani Gatti (dg di Ersu), Raffaele Alessandri (dg di Aamps),
Nadia Ramazzini (esperta di economia circolare della presidenza del Consiglio dei ministri), Rossano Ercolini (presidente di Zero waste Italia), Enzo Favoino (coordinatore scientifico di Zero waste Europe), Emanuele Anzilotti (geologo).
«Questa collaborazione rappresenta un fatto positivamente nuovo – dichiara Ercolini – La sfida è giocarla a favore di tutto l’Ato costa, ma non solo. L’abbiamo costruita attraverso vari incontri e puntando a portare l’economia circolare anche all’interno del sacco grigio, con l’obiettivo di recuperare materiali. Dal rifiuto urbano residuo (Rur) si possono estrarre ancora risorse primarie. Un’impiantistica aggiornata e ammodernata in tal senso è in grado di porre all’avanguardia l’Ato costa e la stessa Regione Toscana, alla quale chiediamo attenzione. La Regione attualmente col nuovo Piano prevede che gli impianti di trattamento meccanico biologico vengano ridotti e ciò sarebbe in controtendenza allo sforzo che stiamo facendo. Tale sforzo è al servizio di tutti e servirà a verificare sulla base di numeri e non di ideologie, se la sfida può essere vinta, puntando a zero rifiuti».
Al proposito, è utile ricordare lo stato dell’arte. Il più recente rapporto Ispra sui rifiuti urbani (dati 2021) documenta la presenza di 124 Tmb o “impianti a freddo” attivi in tutta Italia. Complessivamente gestiscono 9,3 mln di tonnellate di rifiuti l’anno, prevalentemente urbani indifferenziati, producendo in uscita 8,1 mln di tonnellate di altri rifiuti: di questi, il 43,8% è stato smaltito in discarica; il 25% è stato termovalorizzato; il 13,5% destinato a “ulteriore trattamento”, ovvero a processi di biostabilizzazione e produzione/raffinazione di Css (Combustibile solido secondario); il 5,7% coincenerito; lo 0,9% avviato a riciclo.
In altre parole, ad oggi in massima parte i Tmb rappresentano impianti intermedi dove entrano rifiuti urbani indifferenziati ed escono rifiuti speciali da immettere liberamente sul mercato – spesso alimentando il cosiddetto “turismo dei rifiuti” – per poi andare quasi esclusivamente a termovalorizzazione o a smaltimento in discarica.
Entrambe soluzioni previste dalla gerarchia europea per la corretta gestione dei rifiuti, ma da sempre avversate (soprattutto la termovalorizzazione, nonostante rappresenti una soluzione gerarchicamente più avanzata della discarica) dai comitati rifiuti zero.
Ciò non toglie la possibilità e l’utilità di migliorare la performance dei Tmb in ottica di avvio al riciclo; in Toscana progetti di ricerca in tal senso sono già attivi ad esempio nel Polo impiantistico di Scapigliato a Rosignano Marittimo, e nel Polo di San Zeno ad Arezzo, puntando a migliorare i Tmb trasformandoli nelle cosiddette “fabbriche dei materiali”.
È però evidente che, se oggi in media oltre il 99% dei rifiuti in uscita dai Tmb non può essere avviato a riciclo, non è lecito attendersi miracoli dai progetti di ricerca in corso o futuribili. In altre parole resterà sempre l’esigenza di impianti di riciclo chimico, di recupero energetico e di discarica (in ordine di sostenibilità decrescente) per valorizzare o smaltire in sicurezza la frazione secca dei rifiuti (urbani e speciali, che sono il quintuplo) non riciclabile meccanicamente.
L. A.
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