Insieme al consueto rapporto nazionale sui rifiuti urbani, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ha presentato oggi anche l’inedito rapporto sul recupero energetico dai rifiuti in Italia.

Si tratta di una pubblicazione frutto della collaborazione tra Ispra e Utilitalia, – la Federazione delle utility pubbliche idriche, ambientali ed energetiche –, dal quale emerge che «l’Italia ha urgentemente bisogno di nuovi impianti soprattutto di incenerimento con recupero di energia delle frazioni non riciclabili».

Ad oggi sono 188 gli impianti tra inceneritori e digestione anaerobica della frazione organica e dei fanghi di depurazione presenti sul territorio italiano nel 2022, che hanno prodotto circa 7 milioni di MWh di energia, un quantitativo in grado di soddisfare il fabbisogno di circa 2,6 milioni di famiglie.

Il 100% dell’energia prodotta dagli impianti di digestione anaerobica e il 51% di quella prodotta dagli inceneritori, inoltre, viene contabilizzata come energia rinnovabile.

I biodigestori, che a partire dalle frazioni organiche dei rifiuti possono ottenere compost e biometano, sono 73: di questi 53 sono al nord, 9 al centro e 11 al sud. Complessivamente hanno trattato 4,5 milioni di tonnellate di rifiuti, e nei prossimi anni saranno operativi altri 22 impianti. Per quanto riguarda invece la digestione anaerobica dei fanghi di depurazione, il rapporto ha analizzato i dati di 79 impianti operativi nel 2022, anche in questo caso con una distribuzione molto disomogenea: 39 al nord, 3 al centro e 37 al sud.

Ancora più critica la situazione per quanto riguarda gli impianti dedicati al recupero energetico delle frazioni secche, dato che gli inceneritori operativi lungo lo Stivale sono solo 37 – in deciso calo rispetto ai 48 del 2013 – dei quali 25 al nord, 5 al centro e 7 al sud.

Al loro interno sono state trattate 5,3 milioni di tonnellate di rifiuti, tra rifiuti urbani indifferenziati e rifiuti speciali derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani negli impianti di trattamento meccanico-biologico (Tmb), cosiddetti “impianti a freddo”.

Secondo il rapporto Ispra e Utilitalia, senza nuovi inceneritori «sarà impossibile mantenere lo smaltimento in discarica al di sotto del 10%» come richiesto dall’Ue per i rifiuti urbani entro il 2035, anche perché «nei prossimi anni il costante aumento delle percentuali di raccolta differenziata porterà anche a un inevitabile incremento degli scarti di lavorazione e dei rifiuti organici da trattare».

«I dati del rapporto rifiuti dell’Ispra – sottolinea il presidente Ispra e Snpa, Stefano Laporta – evidenziano una percentuale di riciclaggio degli urbani pari al 49,2% e un riciclaggio totale dei rifiuti di imballaggio del 71,5%. Lo smaltimento in discarica è però ancora al 18%, quindi dovranno essere fatti ulteriori sforzi per garantire l’adeguata chiusura del ciclo di gestione».

Gli inceneritori ad oggi presenti in Italia «sono ormai saturi» e non si prevedono nuove aperture nei prossimi anni, se non l’impianto a servizio di Roma per una capacità complessiva di circa 600.000 tonnellate annue.

«Ben oltre l’80% delle scorie prodotte (dagli inceneritori, ndr) sono state avviate a recupero di materia, e con la revisione delle direttive europee previste nell’ambito del Pacchetto per l’economia circolare – argomentano Utilitalia e Ispra – anche i metalli recuperati dalle scorie di incenerimento concorrono inoltre al raggiungimento dei target di riciclo. Per quanto riguarda invece il controllo delle emissioni in atmosfera, per diversi inceneritori i limiti applicati risultano notevolmente più stringenti rispetto a quelli determinati dalla normativa vigente, soprattutto per quanto riguarda le polveri, gli ossidi di zolfo ed il monossido di carbonio. Le emissioni degli impianti di termovalorizzazione sono peraltro poco rilevanti rispetto al totale delle emissioni in atmosfera legate al complesso delle attività civili e industriali».

Ovviamente i termovalorizzatori non sono comunque a “impatto zero”, come del resto ogni impianto industriale. I maggiori problemi che devono affrontare hanno a che fare con la sostenibilità sociale, in quanto invisi a larga parte della cittadinanza nonostante siano ampiamente utilizzati nei Paesi del nord Europa.

C’è poi il non trascurabile dettaglio della sostenibilità economica, in quanto la termovalorizzazione potrebbe dover fare i conti dal 2028 con l’ingresso nel sistema Ets, dove ogni tonnellata di CO2 emessa ha un prezzo.

Esistono comunque alternative alla termovalorizzazione a cavallo tra riciclo e recupero energetico, a partire dal riciclo chimico fino all’ossidazione termica, in modo da calibrare la risposta più efficiente (e socialmente accettabile) sui vari territori. Ciò non toglie, ovviamente, l’urgente necessità di concretizzare a livello locale la realizzazione di impianti di gestione rifiuti ricadenti in una di queste tipologie.

L. A. 

L’articolo Rifiuti, Ispra e Utilitalia: «All’Italia servono nuovi impianti di incenerimento» sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.