Nel 2020, con l’avvio della pandemia e i conseguenti lockdown, la produzione italiana di rifiuti urbani e assimilati è diminuita a quota 29 milioni di tonnellate (in calo d 1 mln ton rispetto al 2019): come è stata gestita? A rispondere è oggi Green book 2022, il rapporto annuale sul settore dei rifiuti urbani in Italia promosso da Utilitalia e curato dalla Fondazione Utilitatis, realizzato quest’anno in collaborazione con Ispra.

L’analisi mostra che il tasso effettivo di riciclo dei rifiuti urbani oscilla in Italia – a seconda della metodologia di calcolo – tra il 48,4% e il 54,4%, comunque sopra una media europea del 47,8%; leggermente migliore è anche il dato sugli smaltimenti in discarica, al 20% in Italia e al 23% in Europa. Entrambi dati da migliorare sensibilmente, in ogni caso, perché i nuovi obiettivi Ue impongono di raggiungere almeno un 65% di riciclo effettivo e di tagliare il ricorso alla discarica fino a massimo il 10% dei rifiuti urbani prodotti.

«Il Green book – commenta il presidente della Fondazione Utilitatis, Stefano Pareglio – è una monografia di riferimento nel settore dei rifiuti urbani, e sottolineo perciò con soddisfazione la collaborazione avviata quest’anno con Ispra. I dati presentati mostrano alcuni segnali di miglioramento del settore, ma evidenziano soprattutto i limiti che si incontrano in Italia nell’affermare una piena e diffusa logica di circolarità».

Limiti che hanno molto a che fare con l’insufficiente presenza di impianti per gestire i nostri rifiuti, soprattutto nelle regioni del centro-sud, e che si ripercuotono direttamente sulla Tari pagata dai cittadini.

Il rapporto stima il costo del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani in una forbice compresa tra i 10,3 e il 12,6 miliardi di euro l’anno; per una famiglia di 3 componenti in un’abitazione di 100 metri quadri, nel 2021 la spesa per il servizio è stata pari a 318 euro, con forti differenze territoriali tra le macroaree. Si parla di 282 euro per il Nord, 334 euro per il Centro e 359 euro per il Sud. Come mai?

Come già emerso da una precedente analisi della Corte dei conti, il Green book conferma che «la principale causa della spesa più alta per le famiglie del centro-sud è relativa ai costi sostenuti per il trasporto dei rifiuti fuori Regione, per effetto di un assetto impiantistico non adeguato».

Per avere contezza del fenomeno, profondamente intrecciato con le sindromi Nimby & Nimto che bloccano in molti casi la realizzazione delle opere di pubblico interesse, basti osservare che la stessa Corte dei conti mostra come solo il 20% degli impianti finanziati nell’arco di tempo 2012-20 è stato effettivamente realizzato. Il Green book riparte da questa consapevolezza per indicare dove migliorare.

«Lo studio – sintetizza il vicepresidente vicario di Utilitalia, Filippo Brandolini – evidenzia l’importanza di una gestione industriale dell’intero ciclo dei rifiuti, la necessità di realizzare impianti soprattutto al centro-sud e l’urgenza di superare le frammentazioni gestionali. Si tratta di tre elementi fondamentali per la piena affermazione dell’economia circolare».

I principali problemi stanno appunto al centro-sud, dove le Regioni raccolgono più rifiuti di quanti riescano a gestire, affidandosi peraltro ad impianti dalle tecnologie spesso vetuste: «Confrontando infatti i flussi di rifiuto organico e rifiuto indifferenziato raccolti e trattati nelle rispettive macro aree, si osserva come le regioni del centro-sud abbiano difficoltà a garantire il recupero e lo smaltimento dei propri rifiuti prodotti».

Nel centro-sud la frazione organica viene infatti avviata prevalentemente a impianti di compostaggio, mentre al nord sono più diffusi i biodigestori anaerobici; allo stesso modo, il rifiuto urbano residuo (Rur) viene smaltito prevalentemente in discarica sia al centro (70%) sia al sud (63%), mentre al nord l’uso delle discariche è contenuto grazie a un altissimo ricorso al recupero energetico (incenerimento) proveniente dal Rur (93%).

Questi profondi squilibri, naturalmente, hanno un profondo impatto anche a livello di sistema-Paese, che ricorre in modo massiccio all’export di rifiuti.

La sezione del Green book a cura di Ispra, relativa ai flussi transfrontalieri di rifiuti – sia per l’export sia per l’import il nostro principale partner è la Germania –, mostra che questi riguardano prevalentemente i rifiuti speciali, con i rifiuti urbani che costituiscono il 13,8% dei rifiuti complessivamente esportati e solo il 3,4% dei rifiuti importati.

Più nel dettaglio, nel 2020 sono state esportate oltre 4,2 mln ton di rifiuti (4,4 mln nel 2019) a fronte di un’importazione di circa 7 mln ton (nel 2019 erano 7,2 mln). Tra i rifiuti urbani esportati, molti sono quelli prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti urbani, mentre tra i rifiuti urbani importati, le principali categorie sono rappresentate da vetro e plastica. Per quanto riguarda invece i rifiuti pericolosi, è importante sottolineare come rappresentino quasi il 30% dei rifiuti esportati e solamente lo 0,01% di quelli importati.

Di particolare interesse anche la stima del valore economico di questi flussi transfrontalieri dei rifiuti, dalla quale emerge che «il prezzo medio di rifiuto importato è più alto rispetto al prezzo medio del rifiuto esportato. Questa differenza di valori può essere spiegata dalla scarsa dotazione infrastrutturale nazionale che non permette la chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti, con un contestuale recupero di materia o di energia dai rifiuti urbani. Questo comporta che i rifiuti che vengono esportati siano di bassa qualità mentre vengono importati rifiuti di maggiore qualità, con uno squilibrio di valore».

Una situazione che presto dovrà cambiare: il rapporto richiama nel merito la posizione della Commissione europea, che ha intenzione di revisionare le norme in materia di spedizione di rifiuti COM/2021/709 per disincentivare l’esportazione di rifiuti extra Ue e promuovere l’autosufficienza europea nella gestione dei propri rifiuti.

Anche «la prossima adozione della strategia nazionale sull’economia circolare integrata dalle azioni del Programma nazionale di gestione dei rifiuti (Pngr) e dai finanziamenti previsti dal Pnrr, costituiranno una enorme spinta all’evoluzione del sistema che siamo pronti a misurare, a cominciare dalla qualità del servizio reso ai cittadini», aggiunge Valeria Frittelloni, responsabile del Centro nazionale rifiuti ed economia circolare dell’Ispra.

Tra gli obiettivi del Pngr c’è infatti l’individuazione e il superamento dei gap gestionali e impiantistici che caratterizzano il settore. Entro 18 mesi dalla pubblicazione del Pngr definitivo, le Regioni e le Province autonome saranno infatti tenute ad approvare o adeguare i rispettivi piani regionali di gestione dei rifiuti. I

Nel merito, il Green book ricorda che il Pngr individua i criteri per la definizione delle macroaree (nell’ambito delle quali, previo accordo tra Regioni, può essere garantito il principio di prossimità) partendo dal principio secondo cui ogni Regione deve garantire la piena autosufficienza per la gestione: I) dei rifiuti urbani non differenziati, II) dei rifiuti derivanti da trattamento dei rifiuti urbani, III) degli scarti da raccolta differenziata e IV) dei rifiuti organici.

L’articolo Rifiuti, nel centro-sud gli italiani pagano una Tari più salata perché mancano gli impianti sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.