Intervenendo al Meeting di Rimini, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto ha continuato a fantasticare sulla produzione di energia da nucleare, affermando che «senza diventa molto difficile raggiungere l’equilibrio e soddisfare le esigenze del sistema produttivo e delle famiglie».
Ha anche aggiunto che «oggi potremmo essere quasi nelle condizioni di fermare l’uso del carbone, però non abbiamo una garanzia internazionale per poterlo fare», nonostante per l’Italia l’abbandono del carbone sia un obiettivo di legge – ormai dal 2017 – da traguardare entro il 2025.
Ma i ritardi sono una costante anche per l’unico impianto in ambito nucleare che sarebbe davvero utile al nostro Paese, ovvero il Deposito nazionale per i rifiuti radioattivi: con costi previsti pari a 1,5 miliardi di euro (mentre a livello europeo la gestione dei rifiuti radioattivi è stata stimata nel 2019 dalla Commissione Ue in 422-566 miliardi di euro), è chiamato a ospitare 78mila mc di rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività, oltre a 17mila mc a media e alta attività.
Investire in nuovi impianti a fissione nucleare per la produzione di energia non è una buona idea, né sotto il profilo climatico – dati i lunghissimi tempi di realizzazione richiesti per le centrali – né sotto quello economico, mentre il Deposito nazionale risolverebbe un problema annoso: quello dei 22 depositi temporanei per rifiuti radioattivi sparsi lungo lo Stivale.
L’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), nella relazione annuale trasmessa oggi a Governo e Parlamento, continua però a delineare un quadro critico per il Deposito.
«Permane ancora l’incertezza – si legge nella relazione – sui tempi di realizzazione del Deposito nazionale e, conseguentemente, su quanto tempo e quali investimenti (a carico della collettività) continueranno a essere necessari per gli interventi di adeguamento delle strutture provvisorie e per la realizzazione di nuovi depositi temporanei».
Al contempo «presso alcuni dei siti Sogin si registrano ancora ritardi nella realizzazione di nuove strutture di stoccaggio temporaneo, necessarie a causa della mancanza di un Deposito nazionale. Tali ritardi comportano la riduzione delle volumetrie di stoccaggio residue», evidenzia l’Isin.
Come ricordano dall’Ispettorato, i rifiuti radioattivi che derivano dal pregresso programma nucleare sono attualmente stoccati in depositi ubicati negli stessi impianti dove sono prodotti dalle operazioni di decommissioning.
Gli altri rifiuti che derivano dagli impieghi medici, industriali e di ricerca di sorgenti di radiazioni ionizzanti, sono in parte stoccati dagli operatori autorizzati alla raccolta in propri depositi che hanno una capacità limitata e non sono comunque idonei per lo stoccaggio a lungo termine né per lo smaltimento.
Dalle stime Isin aggiornate nel 2022 risulta che in Italia sono presenti complessivamente quasi 32mila mc di rifiuti radioattivi, cui se ne aggiungeranno almeno altri 48mila generati dalle operazioni di smantellamento delle installazioni nucleari.
La Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) a ospitare il Deposito ha individuato 100 siti possibili lungo lo Stivale già nel gennaio 2015, anche se è stata resa pubblica solo nel 2021. Da allora sono iniziati i lavori per redarre la Cnai, ovvero la Carta nazionale delle aree (effettivamente) idonee. Dal Governo Meloni spiegano che la sua approvazione è prevista «verosimilmente entro il corrente anno» ma ancora di fatto una data non c’è.
La relazione Isin afferma solo che l’Ispettorato ha in programma di adottare un parere definitivo nel merito «entro il mese di settembre 2023», ovvero tra massimo trenta giorni. Poi resta il buio.
Per provare ad accelerare, dall’Istituto suggeriscono «l’esigenza di approfondimenti e interventi legislativi volti a definire con certezza i benefici economici a vantaggio del territorio sul quale sarà localizzato il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi».
L’articolo Rifiuti radioattivi, il Deposito nazionale continua ad allontanarsi sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.