Nel corso di un Consiglio straordinario sui rifiuti, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha annunciato i capisaldi del nuovo piano capitolino per raccolta e dotazione impiantistica, che tra le altre cose prevede la realizzazione di un nuovo termovalorizzatore da 600mila ton/anno. Una risposta della capitale all’imperitura “emergenza” rifiuti cui è condannata da anni a causa di una dotazione impiantistica pressoché inesistente.
Il recupero di energia da rifiuti trova posto al penultimo gradino (dopo il riciclo e prima della discarica) nella gerarchia europea per la gestione dei rifiuti, ma il piano annunciato da Gualtieri copre anche gli altri step, anche se con un livello di ambizione molto variabile.
Il sindaco ha annunciato che nei prossimi giorni s’insidierà il nuovo direttore generale di Ama – la società in house della capitale dedicata alla gestione dei rifiuti urbani – chiamato che avrà «come primo obiettivo la reingegnerizzazione di tutto il servizio di raccolta per aumentare la pulizia della città e incrementare la raccolta differenziata portandola gradualmente al 65%», ovvero l’obiettivo che per legge avrebbe dovuto essere traguardato dieci anni fa: i nuovi target europei per i rifiuti urbani puntano al 65% di riciclo – che è un passo successivo e ben diverso dalla semplice raccolta differenziata – al 2035. Ad oggi (dati 2021) si stima che a Roma la raccolta differenziata sia ferma al 46%.
Una volta divisi in tanti sacchettini, i rifiuti però non spariscono: devono essere indirizzati verso gli impianti industriali necessari per riciclarli, per recuperare energia oppure smaltiti in sicurezza.
Proprio gli aspetti industriali ed impiantistici «rappresentano la causa di fondo delle attuali criticità della gestione del ciclo dei rifiuti a Roma – spiega Gualtieri – Ricordo che ad oggi Roma Capitale chiude il ciclo dei rifiuti sul suo territorio e con propri impianti per una quota inferiore al 2% delle quantità prodotte. Si tratta di una percentuale irrisoria, che non trova eguali in nessuna grande capitale e città italiana».
Per uscire da questo circolo vizioso che alimenta la necessità di discariche e comporta altissimi costi per i cittadini, Gualtieri pensa di «promuovere azioni per ridurre la produzione di rifiuti, incoraggiando il riuso e il riciclo dei materiali. Nel nostro piano è prevista una riduzione costante dei rifiuti prodotti che passi dalle circa 1,7 milioni di tonnellate del periodo pre-pandemia alle 1,580 nel 2026», oltre a dotare la città di 30 centri di raccolta rifiuti.
In questo contesto, è inoltre già stato mandato ad Ama di presentare progetti per partecipare ai bandi Pnrr con due biodigestori anaerobici – la tipologia impiantistica più avanzata per la valorizzazione dei rifiuti organici –, in modo tale che «il ciclo dell’organico si avvierà ad una definitiva chiusura rispetto alla situazione attuale, nella quale l’80% della frazione organica di Roma confluisce in impianti di terzi e fuori regione. Ragioneremo poi sull’opportunità di costruire un terzo biodigestore», aggiunge Gualtieri.
L’organico rappresenta la frazione più pesante della raccolta differenziata, ma non è certo l’unica. Ecco perché il sindaco sottolinea che «dobbiamo dotarci degli impianti necessari al trattamento della quota indifferenziata di rifiuti e degli scarti di quella differenziata», con la scelta ricaduta sulla costruzione di un nuovo «termovalorizzatore a controllo pubblico da attuare con le migliori tecnologie disponibili».
«Il nuovo termovalorizzatore da 600mila tonnellate, che intendiamo realizzare in tempi molto rapidi – argomenta Gualtieri – ci permetterà inoltre di chiudere il Tmb di Rocca Cencia, come chiedono da tempo i cittadini di quel territorio, e di abbattere del 90% l’attuale fabbisogno di discariche rendendo necessaria non più una discarica del tipo di quelle attualmente presenti sul territorio della città metropolitana, ma una piccola discarica di servizio per il conferimento di residui inerti che potrà limitarsi a sole 60.000 tonnellate l’anno».
Secondo il sindaco, da una parte con il nuovo termovalorizzatore «sarà possibile produrre il fabbisogno di energia elettrica di 150.000 famiglie l’anno e risparmiare il gas utilizzato da 60.000 famiglie l’anno», dall’altra «la completa chiusura e autonomia del ciclo dei rifiuti consentirà inoltre un vero e proprio abbattimento dei costi del trattamento, che ci consentirà di ridurre la Tari di almeno il 20%».
Da Assoambiente, l’associazione che rappresenta le imprese private che svolgono servizi ambientali, plaudono a un simile scenario: «Per Roma servirebbe un impianto di 600/700.000 tonnellate l’anno, simile a quello di Acerra a Napoli (oppure di Torino, o di Parigi) – conferma il presidente di Assoambiente, Chicco Testa – con una potenza installata di 100 MW e capace di produrre circa 700/800 milioni di Kwh. Il consumo di circa 350/400.000 famiglie romane (circa il 30%). A cui potrebbe aggiungersi il servizio di teleriscaldamento e teleraffrescamento, che potrebbe essere particolarmente adatto per la gestione calore di aree industriali o direzionali».
Nel merito, da Assoambiente sottolineano che la scelta non avrebbe niente di inusuale, dato che nel panorama europeo funzionano 492 impianti di recupero energetico che gestiscono circa 100 milioni di tonnellate di rifiuti, e gli impianti più recenti non destano particolari preoccupazioni sotto il profilo sanitario: «La città di Roma produce ogni anno 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti urbani. L’obiettivo europeo di riciclo è pari al 65%, il 35% quindi potrebbe essere usato per recuperare energia».
Di diverso avviso Legambiente, anche perché – partendo da un totale di 1,7 mln di ton/anno di rifiuti urbani – 600.000 tonnellate di rifiuti da bruciare annualmente sarebbero «l’enorme residuo, se si arrivasse al 65% di raccolta differenziata e non oltre, obiettivo di legge che ogni comune avrebbe dovuto raggiungere entro il 2012, da 10 anni».
Ecco dunque che secondo Roberto Scacchi (presidente di Legambiente Lazio) e Stefano Ciafani (presidente nazionale di Legambiente) «la costruzione di quello che sarebbe il secondo più grande termovalorizzatore italiano nella Capitale è una scelta totalmente sbagliata. Chiediamo al Campidoglio di tornare indietro e faremo tutto il necessario perché ciò avvenga. Bisogna invece spingere il porta a porta a tutte le utenze domestiche, puntare ad una differenziata altissima, alla tariffa puntuale, a nuove isole ecologiche e biodigestori per l’organico, dinamiche che sembravano essere parte delle scelte dell’amministrazione capitolina e che invece verrebbero spazzate via in un attimo dall’idea di costruire un enorme termovalorizzatore».
Resta il fatto che anche con una «differenziata altissima» servono impianti, magari dal tonnellaggio minore, per gestire l’indifferenziato, gli scarti di selezione della raccolta differenziata e i rifiuti stessi che esitano dai processi di riciclo; non basta dunque la pur doverosa realizzazione dei biodigestori (già citati nel piano illustrato da Gualtieri), se ci sono risposte da dare anche per gestire le frazioni secche non riciclabili meccanicamente. Sotto questo profilo ci sono alternative agli inceneritori, che non siano le discariche? Sì, quelle offerte dal riciclo chimico. Che varrebbe la pena indagare più a fondo.
L. A.
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