Snam, la società controllata da Cdp che rappresenta il principale operatore europeo nel trasporto e nello stoccaggio di gas naturale, informa che nel 2022 la domanda italiana è scesa a 67,4 miliardi di metri cubi rispetto ai 75,1 miliardi di metri cubi del 2021.

Un calo attribuibile soprattutto alle reti di distribuzione (-4,5 miliardi di metri cubi), che alimentano in prevalenza le utenze civili, seguito dagli usi industriali (-2,1 miliardi di metri cubi) e infine dagli usi termoelettrici (-0,8 miliardi di metri cubi), considerando anche il poderoso aumento nei consumi di combustibili fossili più inquinanti come il carbone.

Per quanto riguarda in particolare gli usi civili, a incidere non poco è stato il caldo che ha caratterizzato l’intero 2022, l’anno più rovente dal 1800 per il nostro Paese.

Resta il fatto che anche il gas naturale resta un combustibile fossile, il cui uso comporta l’emissione di gas serra che stanno contribuendo alla crisi climatica in corso. Inoltre, si tratta di una risorsa che l’Italia importa per la quasi totalità dall’estero, sottovalutando al contempo la propria potenzialità nello sviluppo del biometano, l’analogo rinnovabile del gas fossile.

Il Cib (Consorzio italiano biogas) e il Cic (Consorzio italiano compostatori) stimano che, con un adeguato sistema legislativo a supporto , l’Italia potrebbe raggiungere una produzione di circa 8 miliardi di mc di biometano al 2030; una stima inferiore rispetto a quelle elaborate ad esempio da Legambiente, che indicavano 10 mld di mc come potenzialità (tra scarti agricoli e Forsu) al 2030, ma comunque di grande rilievo.

Basti osservare che col decreto sblocca trivelle, annunciato dal Governo Meloni in fase di conversione in legge del dl Aiuti ter, il ministro dell’Ambiente Fratin parla della possibilità di estrarre «una quantità di 15 miliardi di metri cubi sfruttabili nell’arco di 10 anni». Dal biometano si potrebbe ottenere 8 miliardi di mc l’anno, ovvero il quintuplo di quanto atteso dalle nuove trivellazioni, e anche dalle concessioni in essere (grazie alle quali si estraggono 3-5 mld di mc di metano fossile l’anno).

Ma la differenza non sta solo sull’energia disponibile, ma anche su diversissimi impatti dal punto di vista climatico: bruciare metano fossile accelera la crisi climatica, mentre il biometano rappresenta un carburante rinnovabile e CO2 neutrale, in quanto proveniente dalla naturale degradazione di rifiuti organici: in questo modo, la quantità di anidride carbonica liberata nell’intero processo – dal reperimento degli scarti organici alla loro combustione – viene bilanciata da quella assimilata dagli organismi viventi durante la loro crescita.

Eppure, troppe sindromi Nimby e Nimto, alimentate da informazioni fuorvianti in materia, bloccano la realizzazione degli impianti di digestione anaerobica sul territorio: un decano dell’ambientalismo italiano come Francesco Ferrante è arrivato (finora) a contare ben 183 casi del genere lungo lo Stivale.

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