Il ministero dell’Economia ha pubblicato le nuove linee guida cui i Comuni sono chiamati ad attingere per calcolare i cosiddetti “fabbisogni standard”, ovvero il riferimento per il costo unitario effettivo del servizio di gestione dei rifiuti urbani.
Il costo del servizio rifiuti deve infatti essere «interamente finanziato dal relativo prelievo, la tassa sui rifiuti (Tari)», e i fabbisogni standard servono per capire se il servizio – e dunque l’esborso richiesto alla cittadinanza – è svolto in maniera efficiente o meno dal punto di vista economico.
Il parametro di base è la stima del costo medio nazionale di riferimento per la gestione di una tonnellata di rifiuti, pari a 130,45 euro.
Da qui, per ottenere il costo standard di riferimento specifico per ogni Comune, occorre aggiungere i differenziali di costo relativi a varie componenti: la percentuale di raccolta differenziata, la distanza in km fra il Comune e gli impianti, il numero e la tipologia degli impianti regionali, la percentuale di rifiuti urbani trattati e smaltiti negli impianti regionali, la forma di gestione del servizio rifiuti, i fattori di contesto del Comune, le economie/diseconomie di scala, le modalità di raccolta dei rifiuti, il cluster o gruppo omogeneo di appartenenza del Comune.
Qualche esempio? Avere impianti di prossimità aiuta a tenere bassa la Tari, dato che 1 km di distanza aumenta il costo standard di 0,18 euro per tonnellata. Ma non tutti gli impianti sono uguali, ovviamente: se per ogni impianto di trattamento meccanico biologico (Tmb) presente in regione il costo standard aumenta di 4,17 euro per ton, un punto percentuale di rifiuti urbani smaltiti nelle discariche della regione di appartenenza riduce il costo standard di 0,22 euro per ton; al contempo, tale costo si riduce di 0,13 euro per ton ad ogni punto percentuale di rifiuti urbani inceneriti, e cresce di 1,03 euro per ton inviata a compostaggio o digestione anareobica.
Anche le modalità di raccolta dei rifiuti urbani, ovviamente, comportano costi variabili: la domiciliare o “porta a porta” – ovvero un metodo di raccolta particolarmente oneroso in termini di mezzi e personale impiegato – aumenta il costo standard di 14,71 euro per tonnellata, mentre la presenza di centri di raccolta lo riduce di 31,95 euro per ton.
Tutto questo significa che è meglio non praticare mai la raccolta porta a porta e destinare tutti i rifiuti in discarica? Ovviamente no: il più recente pacchetto normativo Ue sull’economia circolare recepito dall’Italia impone anzi di raggiungere almeno il 65% di rifiuti urbani riciclati (non semplicemente raccolti in modo differenziato) entro il 2035, limitando massimo al 10% lo smaltimento in discarica.
I dati offerti dal ministero dell’Economia suggeriscono piuttosto come i bilanci di sostenibilità ambientale ed economica non siano sempre sovrapponibili, e come ogni performance possa essere valutata opportunamente solo all’interno dello specifico contesto di riferimento.
L. A.
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