Un mix energetico che includa il nucleare di cui torna a parlare il Parlamento in questi giorni non può prescindere dalla risposta tecnico-scientifica che si è obbligati a dare ad alcune domande/perplessità. Questo per non ritrovarsi verso un’assurda e pericolosa competizione nucleare-rinnovabili per spartirsi gli investimenti necessari per il processo di decarbonizzazione che il nostro Paese è impegnato ad attuare, a cominciare dai primi obiettivi al 2030.

Prima di tutto di quale tecnologia si parla, con un ruolo dell’Italia tutto da programmare per un know-how da ricostruire, sicuramente mediante partnership internazionali (con chi? Con la Francia?) dopo l’esito di due referendum (1987 e 2011) che hanno detto no al nucleare.

Poi a quanto ammontano i finanziamenti necessari, occorre fare chiarezza sul prezzo dell’energia prodotta. Le rinnovabili oggi sono competitive con le fossili, spesso più economiche. Siamo intorno ai 70-80 €/MWh contro i 130 €/MWh del nucleare di nuova generazione che sta realizzando la Francia. Anche i costi di costruzione da ammortizzare a carico dell’erario appaiono elevatissimi: due reattori nucleari EPR in costruzione in Gran Bretagna a Hinkley Point, dovrebbero costare, secondo la francese EDF 37,6 miliardi di euro per 3,2 GW di potenza. Chiarezza occorre avere anche per i tempi di realizzazione, allo stato attuale assolutamente incompatibili con la decarbonizzazione, come dimostrano i reattori EPR realizzati in Finlandia e Francia, per i quali si viaggia intorno ai 15 anni».

Ancora, l’inquinamento. La tassonomia europea considera il nucleare una fonte verde, ma anche qui si chiede trasparenza. Dal punto di vista della riduzione delle emissioni di CO2 derivanti dalla produzione di energia elettrica tra rinnovabili e nucleare, un recente studio, “Differences in carbon emissions reduction between countries pursuing renewable electricity versus nuclear power” (Nature Energy, 5 ottobre 2020), non ha dubbi sulla differenza tra le due fonti energetiche. Lo studio utilizza analisi effettuate su periodi sufficientemente lunghi (25 anni) con regressioni su set di dati globali delle emissioni nazionali di CO2 in funzione della produzione di elettricità considerando 123 paesi diversi. Vengono esaminati in modo sistematico modelli diversi caratterizzati da quote diverse di rinnovabili e di nucleare. Sulla base di ipotesi riguardanti scenari diversi di potenzialità di mitigazione nei confronti delle emissioni assegnate al nucleare e alle rinnovabili, i risultati delle analisi effettuate mostrano che le emissioni di CO2 sono inferiori nel caso delle rinnovabili. Inoltre, viene evidenziata anche l’esistenza di una associazione negativa tra lo sviluppo in un unico paese degli impianti nucleari e di quelli che usano fonti rinnovabili, che di fatto si escludono a vicenda. Un paese ad elevata penetrazione nucleare risulta a bassa diffusione di utilizzo di fonti rinnovabili, e viceversa. Infatti, tra tutte le tecnologie diverse dalle rinnovabili il nucleare è quella con vincoli di esercizio talmente stringenti da renderlo il meno adatto a modulare la propria potenza per stabilizzare la rete».

Inoltre, qual è la soluzione alla problematica delle scorie esistenti? La lunga vicenda del sito come è andata a finire? Sono state individuate alternative? Quali sarebbero i siti per la costruzione delle centrali? Che procedura mettere in campo per superare l’ostacolo dei referendum? Questo, per i reattori di terza generazione, gli unici commercialmente disponibili. Ma la mozione approvata dalla maggioranza alla Camera suggerisce anche iniziative per quelli di quarta generazione, per i small modular reactor e addirittura per i microreattori modulari (cioè per il futuribile), suggerendo anche i nominativi di industrie italiane che dovrebbero occuparsene. Concludendo con l’immancabile tributo al luminoso futuro della fusione nucleare.

In sintesi, troppa carne al fuoco che rischia di bruciare troppi fondi pubblici.

Il Governo e il Parlamento faranno bene a rispondere preliminarmente a queste domande, anche perché il futuro del nucleare è limitato persino per l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) che all’atomo assegna uno scarso 10% per la generazione elettrica a livello mondiale, ma ancor più dalla realtà odierna. La mozione parla di rilancio del nucleare, ma dimentica che il suo contributo alla produzione elettrica mondiale alla fine  del secolo scorso (17%) ha successivamente continuato a diminuire, col 9,9%  scendendo nel 2021, per la prima volta, sotto la soglia del 10% e perdendo quasi un punto nel 2022, quando il suo apporto è stato il 9,1%. Se non saremo tutti più che convinti in termini di costi, tempi e soluzioni, sarebbe poco serio per il nostro Paese affrontare questa avventura al di fuori del perimetro di un necessario e fondamentale impegno in termini di ricerca applicata.

di Livio de Santoli 

presidente dl Coordinamento FREE

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