A colloquio con Riccardo Piunti, presidente del CONOU. Che sul fronte della rigenerazione degli oli usati intravede margini di crescita in Europa. Anche sul modello di quanto di buono si sta già facendo in Italia

Raccolta la totalità dell’olio minerale usato e rigenerato il 98%. Il 2023 del CONOU, il Consorzio nazionale oli usati, si è chiuso con numeri difficili da migliorare. Lo dice l’ultimo rapporto di sostenibilità del consorzio. Un risultato frutto del lavoro di squadra sempre più “oliato” tra i 59 concessionari, che ritirano il rifiuto nei circa 103.000 detentori distribuiti su tutto il territorio nazionale, e delle due aziende che gestiscono il processo di rigenerazione. Un ulteriore scatto in avanti è però ancora possibile secondo il presidente del consorzio Riccardo Piunti. Soprattutto guardando all’Europa.

Perché l’Unione Europea non fissa anche per il vostro settore dei traguardi più ambiziosi, così come fatto con altre tipologie di rifiuto?

La Commissione europea ha presentato a fine 2023 uno studio sugli oli lubrificanti. Questo rapporto analizza le varie modalità attraverso cui i singoli Paesi dell’Unione Europea gestiscono questi oli usati e la loro la circolarità. Dallo studio emerge che la media europea di raccolta è dell’82%, quella dell’Italia del 99%. Sul tasso di rigenerazione, la media scende al 61% contro il 98% del nostro Paese. Dei Paesi membri più grandi l’Italia si conferma il più avanzato, con sistemi simili a quelli di altri Paesi latini, come il Portogallo, altrettanto ben piazzati nella graduatoria. Tempo fa l’Europa aveva detto che si sarebbe potuto individuare un target di rigenerazione più alto, fissandolo all’85%. Poi però non si è fatto nulla. Mi pare che l’Europa finora non abbia voluto affrontare il tema. Forse ciò è dovuto alle obiezioni o alle perplessità di Paesi importanti, come la Francia e la Germania, che rigenerano circa il 60%, o di altri Paesi che addirittura non raccolgono tutto. E invece si tratta di un tema che va affrontato. L’Europa deve sapere dove si trova quel 18% di olio usato non raccolto, che corrisponde a mezzo milione di tonnellate. Una delle caratteristiche del sistema italiano è che è fondato sul ruolo del consorzio che pur non condizionando i flussi li ha comunque sempre sotto controllo. Probabilmente una parte dell’olio usato scappa al controllo di altri Paesi. Ci sono poi delle aziende che si sono attrezzate per bruciare l’olio minerale. Io credo che bruciare una materia prima pregiata come questa, che può essere rigenerata, sia una follia.

Il CONOU punta invece da sempre sul processo di rigenerazione. Che nuovi obiettivi vi date su questo fronte?

Al di là delle percentuali, dobbiamo essere d’accordo sul senso da dare alla parola rigenerazione. In Italia sin dal 2007, da quando con un decreto venne introdotta una tabella di qualità che fissava lo standard per il trattamento del prodotto rigenerato, ci atteniamo a dei parametri che assicurano l’eliminazione di ogni residuo della corrosione dell’olio. Questa qualità delle basi rigenerate la controlliamo periodicamente presso i nostri rigeneratori. Si può avere un olio che dal punto di vista dei parametri fisici è in ordine, ma mantiene comunque tracce di contaminazione del suo uso precedente. A livello europeo questo standard di controllo non esiste. Il segreto della nostra filiera è che anche grazie al rispetto di questo standard produciamo basi rigenerate equivalenti alle basi vergini, e quindi pronte per essere riutilizzate.

Che differenze permangono nell’applicazione del modello CONOU nelle varie parti d’Italia?

Esistono delle differenze nei siti di raccolta tra nord, centro e sud del Paese. Ovviamente più industrie ci sono in un’area, più in quella stessa area sarà presente una tipologia di utilizzi degli oli diversa rispetto a dove quelle industrie non ci sono o sono di meno. Il trattamento degli emulsionanti a caldo, ad esempio, è sicuramente più sviluppato al nord dove vengono più utilizzati nei processi industriali. In generale, però, la filiera dei nostri concessionari ha una sua omogeneità. In questi quarant’anni di servizio il consorzio ha lavorato molto per dare a queste imprese, in buona parte nate come imprese familiari, un supporto nel crescere non solo dal punto di vista impiantistico e strutturale, ma soprattutto nel rispetto degli standard di qualità operativi, tecnici, ambientali ed etici. Le nostre sono delle bellissime imprese. Purtroppo alcune sono arrivate alla terza generazione, quindi a volte vanno incontro a una crisi nella successione. Però l’anima di queste imprese è molto forte. È fatta di uomini e di donne che le guidano, da nord a sud.

Che sfide vi ponete per il futuro?

Stiamo completando un lavoro che ci proietterà in un’ottima posizione nella gestione del contributo ambientale, che per un consorzio è linfa vitale. Grazie anche al supporto dell’Agenzia delle Dogane riusciamo a effettuare un controllo molto stretto su possibili casi di evasione. Si va verso la strada della digitalizzazione e dell’eliminazione della carta. I trasportatori dei concessionari utilizzeranno delle app, il che rende ogni passaggio tracciato. Le altre sfide le impone l’Unione Europea che ha stabilito da tempo che la sostenibilità non è solo ambiente, ma contempla tutta una serie di altri fattori che riguardano la parità di genere nei luoghi di lavoro, la trasparenza nella governance. Il modo in cui abbiamo redatto il nostro ultimo rapporto di sostenibilità, che integra per la prima volta le innovazioni normative a livello europeo, dimostra che noi ci stiamo già muovendo in questa direzione.