Secondo i dati presentati alla conferenza finale di COastal Management and MOnitoring Network for tackling marine litter in Mediterranean sea (COMMON) in corso a Tunisi, «La plastica rappresenta l’80% dei rifiuti dispersi nell’ambiente marino e costiero: su oltre 90mila oggetti raccolti sulle spiagge e analizzati mediante protocolli scientifici armonizzati tra i diversi partner del progetto, 17mila (circa il 20%) è rappresentato da mozziconi di sigaretta, 6mila sono cotton-fioc. Su oltre 700 individui analizzati, riconducibili a 6 specie ittiche, è risultato che un pesce su tre ha ingerito plastica, in più della metà delle tartarughe analizzate sono stati ritrovati rifiuti. Segnale di un impatto fortemente negativo per tutta la biodiversità marina. Questo non solo a causa dei problemi dovuti all’ingestione dei rifiuti, ma anche ai possibili effetti tossici legati agli additivi aggiunti ai materiali plastici».

Dati preoccupanti che sono frutto dei monitoraggi del progetto COMMON finanziato dall’Unione Europea tramite il programma ENI CBC MED con 2.2 milioni di euro, che ha visto coinvolti Legambiente, l’università di Siena e il CIHEAM Bari, l’Institut National Des Sciences Et Des Technologies De La Mer di Tunisi e l’università di Sousse per la Tunisia e l’ONG libanese Amwaj of the Environment e la riserva naturale di Tyre, per il Libano.  L’obiettivo di COMMON è quello di «Contrastare la diffusione dei rifiuti marini nel Mar Mediterraneo utilizzando i principi della Gestione Integrata delle Zone Costiere (ICZM) mediante un approccio partecipativo per coinvolgere le parti interessate e le comunità locali, con l’obiettivo di testare un modello potenzialmente trasferibile a tutto il bacino mediterraneo». Cinque le aree pilota in cui si sono svolte le attività del progetto: due in Italia (Maremma e Salento), due in Tunisia (Isole Kuriate e Monastir) e una in Libano (riserva naturale di Tyre). Oltre ai workshop e agli incontri con gli stakeholder, e alle campagne di sensibilizzazione, sono stati sviluppati e applicati protocolli di monitoraggio comuni per valutare l’impatto del marine litter nelle aree pilota coinvolte, un aspetto importante questo, per definire azioni di mitigazione mirate e sicuramente più efficaci. Cooperazione e condivisione devono essere introdotte anche per i monitoraggi e la raccolta di dati scientifici, uniformando i protocolli di campionamenti e analisi in accordo con i pilastri di governance a livello mediterraneo come la Convenzione di Barcellona e la Direttiva Quadro della Strategia Marina Europea.

Intervenendo alla conferenza finale, Giorgio Zampetti, Direttore Generale di Legambiente, ha ricordato che: «Sebbene il nostro mare sia più piccolo degli oceani Atlantico e Pacifico, è uno degli hotspot di biodiversità più importanti al mondo, ma purtroppo anche uno dei maggior sei, nel mondo, per quanto riguarda la concentrazione di plastiche in mare. Uno dei maggiori ostacoli al contrasto di questo fenomeno è rappresentato dalla presenza di legislazioni e regole nazionali troppo complesse e poco uniformi tra loro. Per questo, con il progetto COMMON, abbiamo promosso l’adozione di politiche comuni tra i paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo, perché, è importante ribadirlo, il problema del marine litter va affrontato agendo a livello internazionale, con un’azione congiunta e coordinata dei singoli stati».

Le attività di monitoraggio scientifico del progetto hanno riguardato l’analisi di macro e microrifiuti presenti sulle spiagge, sulla superficie del mare e ingerite sia da mitili, da specie ittiche di interesse commerciale e con alto valore ecologico che tartarughe marine. Lo staff di COMMON evidenzia che «Dalle indagini condotte sulle undici spiagge delle aree pilota emerge come il materiale più presente sia la plastica: dei 90mila oggetti raccolti e analizzati, 17mila (circa il 20%) sono mozziconi di sigaretta, seguiti da pezzi di plastica con dimensione tra i 2,5 e i 50 centimetri (9%) risultato della frammentazione di oggetti in plastica più grandi, e 6mila (circa il 7%) cotton-fioc. Più della metà dei rifiuti (53%) rinvenuti è monouso o usa e getta. Da dove provengono questi rifiuti? I ricercatori identificano il turismo e le attività ricreative sulla costa come le sorgenti principali del problema nelle aree analizzate. Per quanto riguarda le indagini sulle microplastiche nella colonna d’acqua, 130 campioni sono stati raccolti nei tre paesi e cinque aree diverse con il retino manta. L’area più contaminata risulta essere la Riserva di Tyre in Libano, in particolar modo durante la stagione delle piogge, a dimostrazione della forte influenza che hanno gli apporti dall’entroterra tramite il run-off dei fiumi sulla quantità dei rifiuti in mare».

Legambiente ricorda che gli impatti del marine litter sulla fauna marina sono numerosi, anche a causa delle diverse forme e dimensioni del rifiuto: «Se da una parte riguardano l’intrappolamento degli esemplari principalmente in reti da pesca e oggetti galleggianti, dall’altra l’ingestione dei rifiuti può portare a malnutrizione, morte per soffocamento, ostruzione del tratto intestinale, inedia. Inoltre, l’ingestione di plastica e microplastica può provocare alterazioni a vie metaboliche e sistemi endocrini dovuti al rilascio di sostanze tossiche contenute o assorbite dalla plastica (ftalati, composti organoclorurati e altre sostanze tossiche) una volta all’interno degli organismi».

Il progetto COMMON è servito anche ad analizzare i tratti gastrointestinali di oltre 700 esemplari di 6 specie ittiche di interesse commerciale: Engraulis encrasicolus (anchovy), Sardina pilchardus (sardine), Sardinella aurita (alaccia), Boops boops (boga), Mullus barbatus (red mullet), Lythognathus mormirus (Momora) e ne è venuto fuori che «Mediamente, un terzo degli esemplari analizzati aveva ingerito microplastica. L’aspetto significativo e innovativo delle analisi risiede nel fatto che alcune delle specie considerate dal progetto (Mullus barbatus e Sardina pilchardus) sono state analizzate in tutte le aree pilota, permettendo di utilizzare questi organismi sentinella come indicatori dello stato di salute dell’ambiente indagato consentendo una corretta comparazione dei dati».

In accordo con quanto stabilito nel programma (Integrated Monitoring and Assessment Programme of the Mediterranean Sea and Coast (IMAP) anche la tartaruga marina Caretta caretta è stata utilizzata come indicatore dello stato di salute del Mediterraneo q questo  ha rivelato che «In oltre 140 esemplari provenienti da, Tunisia, Libano e Maremma (Italia), i livelli di ingestione variano tra il 40 e il 70%; gli individui provenienti dall’area maremmana, sono quelli in cui è stata riscontrata la frequenza maggiore di ingestione».

Maria Cristina Fossi, dell’università di Siena, e partner del progetto COMMON e Plastic Busters CAP, ha sottolineato che «Il progetto COMMON, si propone come un esempio unico, a livello Mediterraneo, di capitalizzazione delle metodologie di monitoraggio sviluppate in iniziative precedenti (per esempio il progetto Interreg-Med Plastic Busters MPAs) e una loro implementazione attraverso azioni mirate di diagnosi e mitigazione, sinergicamente attuate nelle due sponde del Mediterraneo, come auspicato dall’Unione del Mediterraneo attraverso l’iniziativa Plastic Busters».

Durante gli anni di progetto, per promuovere l’impegno dei cittadini e degli “utenti del mare”, sono stati organizzati un centinaio di eventi di sensibilizzazione per varie categorie interessate: pescatori, stabilimenti e operatori economico-turistici della costa, amministratori di città costiere, studenti, società civile, e altre organizzazioni. I pescatori incontrati nelle aree pilota, circa 268 tra singoli e cooperative, sono stati coinvolti in workshop e seminari incentrati sugli impatti del marine litter sulla loro attività, e sul problema, molto sentito, della gestione dei rifiuti accidentalmente raccolti durante la pesca.

Gli operatori turistici, circa 80, sono stati coinvolti in workshop e nella campagna estiva di sensibilizzazione BEach CLEAN, un’iniziativa volta a promuovere una migliore gestione dei rifiuti negli stabilimenti balneari di località del Mediterraneo ad alto afflusso turistico. La campagna ha visto il coinvolgimento di 230 stabilimenti per la sensibilizzazione dei turisti e dei frequentatori delle spiagge. Inoltre, il progetto ha promosso Clean Up The Med, una grande iniziativa di volontariato ambientale giunta ormai alla sua trentesima edizione, che nel corso di COMMON ha visto oltre 2mila volontari provenienti da 20 paesi del Mediterraneo prendere parte alle attività di pulizia delle spiagge, rimuovendo 10 tonnellate di spazzatura marina in quasi 24mila km di costa.

Per affrontare la necessità, tra i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, di adottare politiche comuni per la gestione dei rifiuti, l’attività di COMMON si è concentrata in primo luogo sulle aree urbane costiere, creando occasioni e luoghi di incontro e confronto tra amministrazioni locali, attività produttive e turistiche. Nelle attività dei Local Working Groups sono stati coinvolti diversi stakeholder e policy maker con l’obiettivo di formare i professionisti e gli addetti del settore per gestire al meglio i rifiuti nelle aree costiere e prevenire la loro dispersione nell’ambiente. Gli incontri sono stati utilizzati anche per creare un Network delle città costiere, favorendo lo scambio e il racconto di buone pratiche, che sono state raccolte nella piattaforma COMMON e sono a disposizione per essere di ispirazione e replicate.

 

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