Sembra che le grandi aspettative scaturite nel maggio scorso in seguito all’approvazione del nuovo Protocollo fanghi si siano sgonfiate parecchio.
Il decreto, firmato a maggio scorso dal ministro della Salute, dopo un lungo e non sempre facile percorso nei dicasteri delle Infrastrutture e dell’Ambiente, consente di superare l’ormai divenuta obsoleta (1993) normativa.
La movimentazione dei fanghi nella Laguna di Venezia, risultanti dall’escavazione dei fondali, potrà d’ora in poi essere ritenuta in linea con le direttive europee e con la norma nazionale in materia di dragaggi e, finalmente, si potranno avviare i tanto attesi lavori finalizzati al miglioramento degli accessi al porto e nei canali di navigazione lagunari che sono vitali per lo sviluppo della portualità veneziana. L’aspettativa di Venezia e dei molteplici operatori portuali è indissolubilmente legata a questa legittima prospettiva che, a distanza di sei mesi dall’emanazione del provvedimento, resta ancora una pia illusione.
Manca infatti il soggetto attuare di questo importate e per molto versi innovativo strumento: il presidente per l’Autorità della laguna di Venezia, che non è stato ancora formalmente individuato.
Pertanto, la tanto declamata nuova spinta economica resta ancora un desiderio che, giunti a fine novembre, sembra lontano dall’essere raggiunto.
Il nuovo protocollo che a 30 anni dall’emanazione del vecchio “Protocollo fanghi” ha il merito di definire regole chiare e certe in ordine all’escavazioni lagunari e disciplina compiutamente la ricollocazione dei sedimenti estratti in laguna, nel rispetto del delicatissimo ecosistema della laguna stessa resta, di fatto, ancora inapplicato.
Il resto sono commenti sterili, che lasciano il tempo che trovano. Il Paese resta prigioniero di una classe politica che, avvezza ai proclami, sembra aver perso qualsiasi attitudine a decidere.
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