Nel mese di aprile è stato approvato nella versione definitiva il Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio (PPWR – Packaging and Packaging Waste Regulation), un pacchetto di misure volte a rendere più sostenibili packaging e contenitori e ridurre i rifiuti nell’Unione europea.

Il regolamento comprende obiettivi di riduzione degli imballaggi (del 5% entro il 2030, del 10% entro il 2035 e del 15% entro il 2040) e impone ai Paesi Ue di ridurre in particolare i rifiuti di imballaggio in plastica.

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Cosa prevede il Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio

Riduzione dei rifiuti da imballaggio del 5% entro il 2030; del 10% entro il 2035 e del 15% entro il 2040.

Tutti i divieti entreranno in vigore dal 2030 e si applicheranno soltanto agli imballaggi in plastica monouso utilizzate per:

confezioni multiple di bevande al punto vendita (per esempio: confezione da 6 di acqua e latte)
imballare frutta e verdura sotto 1,5 kg
il consumo di bevande e alimenti in loco
condimenti, salse e conserve consumati in bar e ristoranti
prodotti di cosmetica e igiene negli alberghi
buste ultraleggere, salvo se necessarie per ragioni di igiene o per cibo sfuso, come carne cruda, pesce o prodotti lattiero-caseari

La PPWR all’art.44 prevede inoltre l’obbligo per i Paesi Membri di conseguire entro il 2029 il 90% di intercettazione di bottiglie in plastica e lattine e di istituire un Deposito Cauzionale (o DRSDeposit Return Scheme) nel caso in cui non venisse raggiunto tale obiettivo nei tre anni precedenti.

Questi sistemi (comunemente chiamati anche “vuoto a rendere”) vengono utilizzati ormai praticamente ovunque per incentivare i cittadini alla raccolta e al riciclo degli imballaggi per bevande monouso. Nei DRS il consumatore partecipa direttamente al processo di raccolta dei contenitori per bevande (plastica, alluminio, vetro), con il pagamento di una cauzione che viene aggiunta al prezzo di vendita (che in Europa si aggira solitamente tra i 0,10 – 0,25 €) e che poi totalmente restituita al consumatore quando riporta l’imballaggio in un punto di raccolta.

Ricordiamo che l’Italia ha l’unico governo che in Europa si è opposto a tale misura che permette invece di raggiungere gli obiettivi di raccolta e contenuto riciclato per le bottiglie in PET della direttiva plastuche monouso SUP, che è già un obbligo di legge per l’Italia, dice Silvia Ricci, Coordinatrice Campagna “A Buon Rendere”

Al 2025 le bottiglie in PET dovranno contenere il 25% di PET da riciclo (per adesso non siamo neanche al 10%) e raggiungere il 77% come tasso di intercettazione.

L’Italia conta di farcela almeno per questo secondo obiettivo, ma il metodo di misurazione che vuole adottare ( che include bottiglie che vengono scartate durante il processo di selezione) si discosta da quello indicato dall’Europa (e adottato dalla Francia recentemente che considera le quantità di sole bottiglie che entrano negli impianti di riciclo) con tutti i rischi di infrazione comunitaria del caso, conclude Ricci.

Rappresenta ormai un caso studio, per esempio, la Slovenia. Qui il DRS ha permsso di raggiungere in due anni un’intercettazione del 92% per bottiglie in plastica e lattine, come spiega bene il documentario “Chiudere il cerchio: alla scoperta del sistema di deposito slovacco”:

Facendo qualche calcolo – spiega Enzo Favoino, Coordinatore Scientifico “A Buon Rendere” – il DRS dovrebbe essere introdotto in quella minoranza di Paesi europei che ancora non l’hanno pianificato al più tardi nel 2033. Ma, chiaramente, la nostra Campagna si propone di anticipare notevolmente tale data, per non perdere altri anni ed anni in termini di dispersione di contenitori sul territorio, di costi per i Comuni per raccoglierli e smaltirli, di Plastic Tax da versare alla UE per tutta la plastica non riciclata (tassa che pagano i contribuenti), di riciclo di bassa qualità, anziché quello “closed loop” (da bottiglia a bottiglia, da lattina a lattina) reso possibile dal DRS»

Anche il Consiglio ora dovrà approvare formalmente l’accordo prima che possa entrare in vigore, ma intanto noi cosa stiamo aspettando e soprattutto – si chiedono gli esperti – a chi giova ritardare l’introduzione di uno strumento diventato prassi in 16 Paesi europei, che arriveranno a 20 in due anni?

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