Come anticipato su queste pagine, non c’è alcun mistero e soprattutto alcun indizio di rischi per la salute dei cittadini in merito alle scorie del termovalorizzatore di Livorno classificate da Arpat come “rifiuto pericoloso”.

Dopo la polemica montata da alcuni media e partiti politici locali, a fare chiarezza interviene oggi direttamente l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (Arpat), la quale «intende rassicurare che le scorie (o ceneri pesanti) derivanti dal processo di combustione non hanno avuto alcun impatto sui comparti ambientali che possano influire sulla salute dei cittadini».

L’equivoco nasce a partire da un campionamento delle scorie effettuato da Arpat lo scorso febbraio, proprio per garantire il corretto funzionamento dell’impianto, come stabilito dall’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) in vigore.

Per l’Agenzia le scorie passate al vaglio, classificabili come “rifiuto non pericoloso” secondo precedenti analisi, ricadrebbero invece nella fattispecie di “rifiuto pericoloso”.

Il fatto è che, a valle della combustione, il termovalorizzatore di Livorno genera da sempre entrambi i flussi di rifiuti, sia pericolosi sia non pericolosi, da avviare dunque a filiere di gestione diverse. Il nodo del problema dunque è tutto qui: capire il perché di questa difformità delle analisi Arpat rispetto all’atteso, e soprattutto suddividere correttamente i due flussi di rifiuti affinché possano essere gestiti correttamente.

Per questo lunedì 26 giugno Arpat «ha presenziato al campionamento sulle scorie a cura del gestore (ovvero Aamps e Retiambiente, entrambi soggetti interamente pubblici, ndr) e seguirà le successive attività analitiche per garantire i necessari approfondimenti sulle caratteristiche dei materiali».

All’interno del dibattito pubblico cittadino, da mesi incandescente sul futuro del termovalorizzatore – che ha l’Aia in scadenza ad ottobre, ma senza che ad oggi siano attivi impianti alternativi sul territorio –, un inconveniente tecnico si è però trasformato in allarmismo, paventando rischi per la salute di ambiente e cittadini.

«Per chiarezza – spiega dunque l’Arpat – sottolineiamo che dal processo di termovalorizzazione si generano due tipologie di rifiuti, ossia le ceneri leggere dalla sezione di depurazione dei fumi di combustione, e le scorie (ceneri pesanti), dalle griglie del forno di incenerimento. Queste ultime rappresentano oltre il 20% dei rifiuti inceneriti e nel caso dell’impianto di Livorno, vengono avviate a recupero presso aziende specializzate, che le utilizzano inglobate in materiali cementizi. Sicuramente questo tipo di impiego non può ingenerare problemi alla salute delle popolazione, in quanto le scorie non vengono utilizzate direttamente nell’ambiente, grazie al processo produttivo utilizzato».

In attesa che sulla classificazione delle scorie possa farsi definitivamente chiarezza, il termovalorizzatore è stato fermato in via provvisoria, ma a puro titolo precauzionale.

«Si precisa che l’Agenzia – concludono da Arpat – non ha richiesto la fermata dell’impianto poiché non sono stati riscontrati superamenti emissivi né impatti diretti sull’ambiente né impatti sui comparti ambientali potenzialmente interessanti per la salute pubblica. L’analisi contestata è relativa ai rifiuti prodotti dall’impianto, che rimangono come scorie dopo l’incenerimento dei rifiuti stessi e che vengono smaltiti/recuperati secondo normativa vigente».

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