Al contrario del governo, le nostre imprese comprendono l’importanza dell’economia circolare. Nasce da questa consapevolezza l’impianto di Itelyum a Ceccano, che recupera terre rare dai Raee
Sono molti i nemici della transizione ecologica e della necessità di decarbonizzare l’economia per affrontare la crisi climatica e modernizzare il nostro sistema industriale. Negli ultimi mesi questi “conservatori dello status quo fossile” hanno scelto di cambiare argomentazioni per provare a ostacolare le politiche che promuovono il Green deal in Europa e che purtroppo trovano voce sempre più diffusa nella politica e nella rappresentanza industriale in Italia. Non provano più a negare le cause antropiche dei cambiamenti climatici (tranne qualche isolato e screditato “giapponese”), ma battono sui “costi insostenibili” che la transizione richiederebbe e sul fatto che allo sforzo europeo non corrisponderebbe analogo impegno da parte delle economie emergenti, che peraltro sono ormai responsabili di quantità globali di emissioni molto più rilevanti delle nostre (non ancora di quelle pro capite però, andrebbe sempre ricordato). Anzi, insistere sul Green deal, su elettrificazione dei consumi (soprattutto nei trasporti) e sulle rinnovabili ci spingerebbe in una nuova dipendenza, in cui la Cina la farebbe da padrone. Una prova di questo rischio sarebbe l’approvvigionamento delle terre rare, fondamentali per la transizione – si pensi al loro ruolo nelle batterie, ad esempio – che oggi vengono dalla Cina o da Paesi alleati del “nuovo impero orientale”.
Ora, senza entrare qui in analisi geopolitiche che richiederebbero più spazio, ma accennando solo a quanto sarebbe sciocco imbarcarsi in una guerra commerciale “trumpiana” con il colosso orientale piuttosto che imbracciare le armi della ecodiplomazia, come provò efficacemente a fare Obama ai tempi dell’Accordo di Parigi, è invece questo il caso che meglio fa capire quanto la “circolarità” dell’economia sia indispensabile per la transizione. Già nella scorsa legislatura, Parlamento e Commissione europea hanno emanato linee guida per le batterie e gli accumulatori, che oltre a prevedere rigidi controlli per evitare che nell’approvvigionamento da Paesi terzi (africani innanzitutto) si trascurasse il rispetto dei diritti umani di chi nelle miniere lavora, promuovevano l’impegno per recuperare le terre rare dalle apparecchiature alla fine del loro ciclo di vita. L’obiettivo europeo è arrivare, da qui a breve, a significative e rilevanti percentuali di riciclo.
A fronte di questa previdente indicazione europea, al solito in Italia si marcia a due velocità. Anzi, in due direzioni opposte. Da una parte il governo, che ha recentemente emanato un decreto per semplificare le autorizzazioni per (ri)aprire miniere alla ricerca di questi preziosi materiali, in cui non c’è un singolo comma, una singola riga, che si occupi del recupero. Dall’altra, il sistema delle imprese, che con le sue punte più avanzate nell’economia circolare è ben conscio dell’importanza di quelle attività e anche del business pulito che si può fare in quel settore. Da questa consapevolezza scaturisce, per esempio, la realizzazione dell’impianto pilota di Itelyum recentemente inaugurato a Ceccano (Fr), che recupera terre rare dai Raee e che non a caso è uno dei “cantieri della transizione ecologica” di Legambiente. Il tema è sempre lo stesso: riusciranno questi esempi industriali virtuosi a invertire la narrazione fossile che continua ad affascinare le classi dirigenti di questo Paese?