Secondo lo studio “Burden of chronic obstructive pulmonary disease and its attributable risk factors in 204 countries and territories, 1990-2019: results from the Global Burden of Disease Study 2019”, pubblicato recentemente su The BMJ da un team internazionale di ricercatori guidato dall’iraniano Saeid Safiri del Tuberculosis and Lung Diseases Research Centre della Tabriz University of Medical Sciences, il Nepal ha il più alto tasso di mortalità al mondo per malattie polmonari croniche: 182,5 per 100.000 abitanti, con oltre 3.000 anni persi per problemi di salute o disabilità.
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (Burden of chronic obstructive pulmonary disease – BPCO) è in realtà un gruppo di malattie che rendono difficile la respirazione, come bronchite cronica ed enfisema. I dati utilizzati dallo studio sulla prevalenza, i decessi e il disability adjusted life years (DALY) della BPCO e i suoi fattori di rischio attribuibili sono stati recuperati dal progetto Global Burden of Disease del 2019 che riguardano 204 Paesi e Territori tra il 1990 e il 2019. Il DALY è una misura basata sul tempo che combina gli anni di vita persi a causa di mortalità prematura e anni di vita in buona salute persi a causa di disabilità.
I ricercatori ricordano che «Nel 2019 sono stati segnalati a livello globale 212,3 milioni di casi prevalenti di BPCO, con 3,3 milioni di decessi e 74,4 milioni di DALY. I tassi globali standardizzati di prevalenza per età, mortalità e DALY per la BPCO erano 2638,2 (intervalli di incertezza al 95% da 2492,2 a 2796,1), 42,5 (da 37,6 a 46,3) e 926,1 (da 848,8 a 997,7) per 100.000 abitanti, che erano rispettivamente l’8,7%, 41,7% e 39,8% in meno rispetto al 1990».
I tassi più alti sono stati osservati in Nepal (3.318), Papua Nuova Guinea (2.903) e Isole Salomone (2.179), mentre i tassi più bassi sono stati registrati a Barbados (178), Antigua e Barbuda (178) e Perù (190). Lo studio evidenzia che «Nel 2019, Danimarca (4299,5), Myanmar (3963,7) e Belgio (3927,7) hanno avuto la più alta prevalenza puntuale di BPCO standardizzata per età. L’Egitto (62,0%), la Georgia (54,9%) e il Nicaragua (51,6%) hanno mostrato i maggiori aumenti nella prevalenza di punti standardizzati per età durante il periodo di studio. Nel 2019, il Nepal (182,5) e il Giappone (7,4) avevano rispettivamente i tassi di mortalità standardizzati per età più alti e più bassi ogni 100.000, e il Nepal (3318,4) e le Barbados (177,7) avevano rispettivamente i tassi DALY standardizzati per età più alti e più bassi ogni 100.000. Negli uomini, il tasso DALY globale di BPCO è aumentato fino all’età di 85-89 anni e poi è diminuito con l’avanzare dell’età, mentre per le donne il tasso è aumentato fino alla fascia di età più anziana (≥95 anni). A livello regionale, è stata trovata un’associazione complessivamente a forma di V invertita tra l’indice sociodemografico e il tasso DALY standardizzato per età di BPCO. I fattori che contribuiscono maggiormente ai tassi DALY per la BPCO sono stati il fumo (46,0%), l’inquinamento da particolato ambientale (20,7%) e l’esposizione professionale a particolato, gas e fumi (15,6%)».
Uno degli autori dello studio, il canadese Jay Kaufman del Department of epidemiology, biostatistics and occupational health della McGill University, ha spiegato in un’intervista a SciDev.Net’s Asia & Pacific desk che «Quasi tutti i casi di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) sono di origine ambientale. Data la spesa e la complessità degli interventi medici, la migliore speranza per i Paesi [asiatici più poveri] risiede nella prevenzione primaria, che significa ridurre il consumo di tabacco e sostituire pericolose fonti di combustione interna con stufe moderne più sicure e meno inquinanti. Gli altissimi tassi di mortalità per BPCO in questi Paesi parlano anche del limitato accesso agli interventi medici che potrebbero migliorare la sopravvivenza delle persone con BPCO. Sebbene il Nepal produca gran parte della sua elettricità da fonti idroelettriche pulite, soffre di alti livelli di inquinamento atmosferico dovuto alla combustione di rifiuti e biomassa e dal traffico stradale. Questo contribuisce all’elevato onere della BPCO e deve essere ridotto».
Il Nepal sembra particolarmente colpito a causa della rapida urbanizzazione e dall’aumento di veicoli a motore che sono passati da quasi 224.000 nel 1990 a 1,3 milioni nel 2012. Inoltre, gli autori dello studio evidenziano che il Nepal «Non è riuscito a regolamentare efficacemente gli inquinanti atmosferici e ad attuare misure di controllo della qualità dell’aria».
Commentando lo studio su SciDev Sushmita Roychowdhury, direttrice di pneumologia al Fortis Hospital di Kolkata, ha detto che «E’ probabile che l’incidenza complessiva della BPCO sia solo la punta di un iceberg poiché la maggior parte dei pazienti cerca assistenza medica solo quando presenta sintomi sostanziali. Per affrontare la BPCO nei Paesi in via di sviluppo come il Nepal, è necessario il test annuale obbligatorio di spirometria [un test comune utilizzato per valutare il funzionamento dei polmoni] per tutti i soggetti di età superiore ai 40 anni. Non solo porterà alla luce molti altri casi, ma aiuterà a diagnosticarli e a trattarli presto».
Lo studio conclude: «Nonostante il carico decrescente della BPCO, questa malattia rimane un grave problema di salute pubblica, soprattutto nei Paesi con un basso indice sociodemografico. I programmi preventivi dovrebbero concentrarsi sulla cessazione del fumo, sul miglioramento della qualità dell’aria e sulla riduzione delle esposizioni professionali per ridurre ulteriormente il carico della BPCO».
L’articolo Il Nepal è il Paese con il più alto tasso di mortalità per malattie polmonari sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.