Le città e le comunità urbane devono far fronte alle sfide legate alla scarsa qualità dell’aria, agli effetti delle isole di calore, ai rischi di alluvione, all’esclusione sociale e agli ambienti urbani degradati che influiscono negativamente sulla salute, qualità della vita e sicurezza dei cittadini delle città europee, in particolare tra le classi meno privilegiate.

All’inizio del 2018, il Comune di Prato ha adottato una nuova strategia per la forestazione urbana, volta a contrastare il consumo di suolo e ad incentivare strategie per il recupero e il riutilizzo di aree ed edifici esistenti. Nell’ambito di questa strategia, il progetto Prato urban jungle (Puj) mira a promuovere la progettazione urbana creativa e visionaria per ri-naturalizzare i quartieri di Prato in modo sostenibile e socialmente inclusivo.

Per approfondire, abbiamo intervistato Letizia Benigni, membro del Gruppo di lavoro tecnico e dell’Ufficio Europa del Comune di Prato.

“Prato urban jungle” è una delle buone pratiche selezionate dal progetto europeo Nabi – Nature-based innovations for urban forest and rainwater management, coordinato in Italia da Cospe. Può raccontarci come nasce e a quali esigenze risponde?

«Il progetto Prato urban jungle nasce essenzialmente dalla strategia più generale del comune sul tema della forestazione urbana e mira a promuovere la progettazione urbana creativa e visionaria per ri-naturalizzare i quartieri di Prato in modo sostenibile e socialmente inclusivo.

Tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019 il Comune di Prato ha approvato il nuovo piano operativo in sinergia con il neurobiologo di fama internazionale Stefano Mancuso, e lo studio Stefano Boeri Architetti, oggi nostri partner. Di fronte all’obiettivo di piantare 190.000 alberi, quasi quanti gli abitanti della città di Prato (circa 200 mila), è sorto spontaneo pensare a delle iniziative che potessero permetterci di raggiungere questo numero. Da qui l’idea di forestare anche gli edifici, pensando a una forestazione massiva, sia outdoor che indoor attraverso un concetto proprio a urban jungle.

Nel nostro lavoro vantiamo un partenariato pubblico-privato fondamentale, oltre all’expertise di tanti partner tra cui due start up (Treedom and GreenApes) e il prezioso contributo di Legambiente Toscana, Cnr-Ibe ed Estra spa».

Cosa sono e dove sono le “giungle urbane” a Prato?

«Si tratta di aree ad alta densità di verde, immerse nella struttura urbana, che moltiplicano la capacità naturale delle piante di abbattere gli inquinanti, ripristinando allo stesso tempo il suolo e lo spazio inutilizzato per la fruizione della comunità, trasformando le aree marginali e in decadimento in hub attivi verdi.

Abbiamo identificato tre siti pilota corrispondenti a tre diversi target group e a tre diverse tipologie edilizie, sperimentando come la forestazione possa dare il suo contributo anche in contesti del tutto differenti. Abbiamo scelto le case popolari di via Turchia a Prato per rispondere a una situazione di marginalità su edifici che necessitavano interventi di manutenzione. In questo primo caso, la creazione di spazi verdi ha permesso di dar vita a spazi di convivialità e socialità.

L’altro sito pilota è di natura commerciale e si tratta di un edificio che ospita una grande azienda del territorio con molti dipendenti, l’edificio di Consiag-Estra. Qui, grazie alla Nature based solution, ci si pone l’obiettivo di migliorare il wellness aziendale e creare un roof garden sul tetto a disposizione dei dipendenti.

Il terzo sito pilota è stato pensato per il mercato coperto situato nel Macrolotto Zero per creare uno spazio conviviale e ricco di vegetazione. Da ultimo, abbiamo aggiunto un quarto sito pilota vicino alle case popolari, in una realtà densamente popolata, gestito dall’amministrazione. Qui puntiamo alla creazione di una vera e propria urban farm, che possa rispondere al desiderio di coltivazione e, allo stesso tempo, offrire nuove possibilità di lavoro».

Come hanno risposto le cittadine, i cittadini e la comunità di Prato al progetto?

«Nel primo caso, quello delle case popolari che raccolgono 102 famiglie, ci stiamo impegnando a sensibilizzare i cittadini attraverso un percorso di accompagnamento per informarli e per accogliere i loro feedback rispetto all’urban jungle. Inoltre, gli abitanti potranno recarsi in un nostro gazebo presente per tutta la durata dei lavori nell’area circostante, che permetterà di raccogliere eventuali disagi/commenti in corso d’opera.

Nel caso dell’area commerciale, gli impiegati hanno da subito apprezzato l’intervento abbracciando l’obiettivo del progetto e contenti di godere di spazi verdi all’interno dell’edificio, in cui potersi incontrare nelle pause da lavoro. Nel terzo sito pilota, invece, sono emerse delle difficoltà legate al periodo pandemico. L’emergenza ha purtroppo ridotto gli scambi e i coinvolgimenti con la comunità».

Quali sono gli esempi di iniziative che hanno riscosso maggiore successo?

«Un ruolo fondamentale è giocato dalle centraline della qualità dell’aria, sviluppate dal Cnr-Ibe, 5 per ogni sito pilota. Rendendosi conto della loro utilità per il monitoraggio della qualità dell’aria a 360°, l’amministrazione ha deciso di aggiungerne altre 15 e distribuirle in maniera capillare su tutto il territorio. Con il primo report in merito, i dati raccolti hanno infatti evidenziato come in quest’estate si son verificate delle isole di calore in alcune aree della città e il monitoraggio ha permesso di avere delle informazioni importanti per i decisori politici a favore di nuovi interventi anche in termini di forestazione.

Inoltre, uno degli output che abbiamo realizzato e lanciato a dicembre dello scorso anno per la governance sui temi della forestazione, è stata la piattaforma Prato forest city, sviluppata anche con i feedback e i consigli giunti dall’amministrazione. Si tratta essenzialmente di una piattaforma attraverso la quale i cittadini possono monitorare tutti gli interventi in corso da parte del comune sui temi della forestazione».

Puj è caratterizzato da una governance innovativa e creativa nella pianificazione urbana sostenibile, per certi versi visionaria. Quali sono a suo avviso gli aspetti più interessanti della vostra iniziativa anche in termini di replicabilità in altri contesti italiani o europei?

«Crediamo che la replicabilità sia essenziale e che quello che si realizza nella propria città deve poter essere trasferibile in altri contesti. Nei nostri interventi di forestazione, una delle priorità che ci siamo posti è stata offrire soluzioni a realtà che non possono sostenere importanti costi, inclusa la manutenzione. A questo proposito, grazie anche ai riscontri degli stakeholder locali, stiamo lavorando a delle linee guida (in italiano e in inglese) sul management dell’urban jungle e su delle linee guida più generali, con lo scopo di supportare altre realtà territoriali a replicare queste esperienze nelle loro città».

L’approccio del progetto Prato urban jungle ha messo in campo diverse opportunità di partecipazione, co-design, piattaforme. Cosa vuol dire per voi partecipazione dal basso? E quali sono gli attori principali che avete coinvolto?

«La città di Prato è cambiata in poco tempo. Negli ultimi anni sono stati finanziati tanti progetti di riqualificazione e forestazione che hanno fatto sì che la città cambiasse radicalmente.

In una realtà come quella di Prato è stato interessante notare come sperimentazioni innovative siano state vissute in maniera più partecipata e adattate più velocemente. L’interesse della cittadinanza sta diventando sempre più attivo rispetto a queste tematiche e sono tanti gli attori coinvolti nei nostri processi e progetti. Dai cittadini alle amministrazioni, dai giovani alle organizzazioni e alle imprese.

A Prato ci sono grosse realtà industriali legate al mondo del tessile & abbigliamento con più di 7000 imprese impiegate in questo settore che oggi vogliono alzare l’asticella sul tema della sostenibilità ambientale e dell’abbattimento delle loro emissioni di CO2.

Per quel che riguarda il co-design, Co-design Toscana ha strutturato un percorso che ha veramente fatto emergere le esigenze e le istanze dei vari target group attraverso processi partecipativi che hanno permesso la raccolta e l’elaborazione di dati interessanti per i progettisti».

Quali i programmi per il futuro?

«Tra i progetti futuri l’implementazione di altre centraline per la qualità dell’aria così da rendere ancora più capillare il monitoraggio e, questa settimana, sarà inaugurato il giardino del pronto soccorso grazie a una partnership con l’ospedale di Prato e la donazione di un grande player della gdo, Obi.

Tra i prossimi interventi di forestazione, son previsti un intervento alla biblioteca Lazzerini e un altro nell’area di ingresso del nuovo ospedale Santo Stefano, tenendo conto di quanto i pazienti che stanno a contatto con la natura – o che semplicemente guardano la natura – hanno dei tempi di guarigione e di ripresa molto più rapidi.

Prossimamente inizieranno i lavori anche per la realizzazione del nuovo parco centrale ubicato all’interno delle mura cittadine, che prenderà il posto del vecchio ospedale cittadino che è stato oggetto di una grossa operazione di edilizia innovativa.

Grazie alla pratica della demolizione selettiva sono stati recuperati e riciclati 170.000 metri cubi di volumi, cioè tutto il materiale del vecchio ospedale di Prato per realizzare un nuovo parco urbano gigante, forse uno dei più grandi a livello italiano all’interno di un centro storico».

di Cospe per greenreport

Per maggiori informazioni sul progetto Nabi, è possibile consultare il sito Cospe:

L’articolo A che punto sono le giungle urbane di Prato sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.