La crisi climatica avanza veloce in Italia, incidendo profondamente sulla disponibilità di una risorsa indispensabile alla vita come l’acqua.

L’Ispra documenta come nell’ultimo anno il 60% del territorio nazionale abbia sofferto la siccità, e che nell’ultimo trentennio climatologico la disponibilità di acqua è già diminuita del 20%.

Uno dei più importanti strumenti di resilienza che sono a disposizione per affrontare questa tendenza, sta nell’impiego di acqua depurata. Ad oggi però appena il 4% dell’acqua depurata viene effettivamente riutilizzata, quasi esclusivamente in agricoltura. Eppure il comparto è molto assetato: degli oltre 26 miliardi di m³ di acqua che l’Italia consuma annualmente, il 55% viene assorbito dai campi agricoli.

«Il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura è una soluzione che dovrebbe diventare strutturale applicando all’acqua, laddove economicamente sostenibile anche a fronte di una valutazione dei costi e dei benefici, gli stessi principi dell’economia circolare», spiega il direttore generale di Utilitalia, Giordano Colarullo, intervenendo oggi a Roma all’assemblea nazionale dell’Anbi.

Colarullo ha confermato che si tratta di «un potenziale importante che in Italia viene sfruttato solo per il 4%, a fronte di una potenzialità del 23%». Ovvero, dei 14,3 mld di m³ di acqua usati annualmente in ambito agricolo, 3,4 potrebbero essere soddisfatti già nel breve periodo dai depuratori.

«I gestori sono pronti a fare la propria parte, considerando che il nostro Paese ha depuratori di ottima qualità – ha evidenziato Colarullo – Con costi di investimento incrementali minimi, 112 grandi impianti di depurazione potrebbero fornire al mondo agricolo 2,3 miliardi di metri cubi d’acqua l’anno; a fronte di costi di investimento incrementali stimati in circa 4,2 miliardi, altri 66 grandi impianti potrebbero produrre ulteriori 1,1 miliardi di metri cubi d’acqua».

Guardando al lungo periodo, i dati sono ancora più interessanti: secondo il progetto di ricerca Value Ce In, coordinato dall’Enea e incentrato sull’Emilia-Romagna, il riuso delle acque depurate potrebbe arrivare a coprire fino al 70% della domanda agricola.

Servono, però, delle «misure abilitanti» a partire dall’aggiornamento del Dm 185/2003 alle disposizioni del Regolamento europeo 2020/741 e proseguendo con «l’individuazione della corretta copertura dei costi inerenti l’implementazione degli impianti e delle infrastrutture necessarie», come rimarcato da Colarullo.

Per sfruttare a pieno questo potenziale «bisogna superare i problemi relativi alla governance, alla mancanza di fondi dedicati e alla corretta attribuzione delle responsabilità. Al decisore politico spetta l’indirizzo su come ripartire i costi di affinamento, stoccaggio e trasporto, ma i margini di crescita sono evidenti».

Il comparto delle utilities e quello agricolo, ha concluso Colarullo, possono «cooperare in maniera sempre più stretta per fornire risposte sostenibili alle sfide dell’adattamento al cambiamento climatico: il riuso delle acque depurate rappresenta un tassello importante insieme alla costruzione di invasi a uso plurimo, all’utilizzo dei fanghi di depurazione e dei rifiuti organici come fertilizzanti, fino al recupero del fosforo e alla produzione di biometano».

L’articolo Agricoltura, acqua depurata contro la siccità: in Italia potenziale da 3,4 mld di mc l’anno sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.