Con le installazioni di nuove fonti rinnovabili che avanzano a passo di lumaca da un decennio e l’impiego di materiali riciclati addirittura in retromarcia, l’Italia sta perdendo posizioni nella transizione ecologica che invece il resto d’Europa continua – pur con qualche difficoltà – a portare avanti.

È quanto certifica oggi anche la IV edizione del rapporto Circonomia, presentato oggi a Roma nel corso dell’omonimo festival promosso in collaborazione con Legambiente, Kyoto club e Fondazione Symbola.

«A colpire è il brusco rallentamento del cammino “green” italiano negli ultimi anni. In tutti gli indicatori tranne uno (tasso di riciclo dei rifiuti), dal 2018 in poi corriamo di meno della media dei Paesi Ue», riassume il direttore scientifico del festival, Roberto Della Seta.

Il rapporto Circonomia stima infatti un tasso di riciclo sul totale dei rifiuti (urbani e speciali) in cui l’Italia «doppia la media dell’Ue, oltre l’80% contro meno del 40%», anche se è un raffronto che non è facile fare per quanto riguarda i rifiuti speciali (che rappresentano l’80% circa del totale); soprattutto, l’effettivo re-impiego dei materiali riciclati nell’economia nel 2021 è tornato ai livelli del 2017 (18,4%) pur restando al di sopra della media Ue (11,7%).

In altre parole l’81,6% dell’economia italiana non è circolare, sebbene questo sia il risultato più positivo che vanta il nostro Paese sul fronte della transizione ecologica. Il resto va peggio, anche a causa degli investimenti in ricerca e sviluppo fermi all’1,48% del Pil contro il 2,26% della media Ue (in Germania si arriva al 3,13%).

Nonostante in Italia sia la temperatura media cresciuta di «quasi 3 °C rispetto al periodo pre-industriale», dunque con un impatto quasi triplo del riscaldamento globale rispetto alla media internazionale, l’ambito nel quale l’arretramento italiano appare più rilevante è il trend di crescita delle nuove energie rinnovabili: nel 2022 la produzione italiana da eolico ha segnato -1% (in Ue +9%) e quella da fotovoltaico +10%, contro il +26% dell’Ue.

Al palo anche l’efficienza energetica (come quantità di energia fossile consumata per unità di Pil tra il 2018 e il 2021 siamo stati sorpassati da Spagna e dalla Francia e quasi raggiunti dalla Germania, che ci erano largamente dietro) e di penetrazione della mobilità elettrica (nel 2022 la quota di auto elettriche sul totale delle immatricolate era del 4%, contro il 12% della media Ue).

Eppure la classe dirigente appare ancora restia ad affrontare i problemi strutturali che frenano la transizione ecologica, a partire dalle sindromi Nimby (non nel mio cortile) e Nimto (non nel mio mandato elettorale) che bloccano le rinnovabili, adducendo spesso una falsa contrapposizione tra il loro sviluppo e la tutela del paesaggio.

Un tema su cui è soffermato anche oggi Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera per i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, intervenendo proprio al festival: «L’approvvigionamento energetico non può andare a scapito della salvaguardia del paesaggio. Se abbiamo un deficit di energia non possiamo andare a spalmare sul territorio milioni e milioni di pale eoliche e pannelli fotovoltaici perché rischiamo di distruggere questa ricchezza e procurando un’altra emergenza, ancora più pericolosa, quella alimentare».

Una ricostruzione tutt’altro che accurata. Secondo la principale associazione confindustriale del comparto elettrico (Elettricità futura) per l’installazione di tutti i nuovi impianti rinnovabili al 2030 sarebbe sufficiente lo 0,3% del territorio italiano; guardando al solo fotovoltaico si parla al massimo dello 0,15% della superficie nazionale, o lo 0,3% di quella agricola, o l’1,3% della superficie agricola abbandonata. In linea con queste stime, Legambiente, Greenpeace e Wwf stimano per il fotovoltaico un massimo dello 0,4-0,6% della superficie agricola utile (Sau).

Non a caso sempre Legambiente e Wwf, insieme al Fai e col sostanziale appoggio di Greenpeace, hanno siglato l’intesa “paesaggi rinnovabili” per riconoscere la necessità di nuovi impianti a tutela anche di un paesaggio che nella storia italiana è sempre cambiato e che cambierà ancora, ma che con l’avanzare della crisi climatica rischia di essere devastato: gli impianti rinnovabili sono il necessario compromesso per contribuire a sventare questo scenario.

L’articolo Circonomia, la transizione ecologica italiana si è fermata mentre l’Ue continua ad avanzare sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.

Con le installazioni di nuove fonti rinnovabili che avanzano a passo di lumaca da un decennio e l’impiego di materiali riciclati addirittura in retromarcia, l’Italia sta perdendo posizioni nella transizione ecologica che invece il resto d’Europa continua – pur con qualche difficoltà – a portare avanti.

È quanto certifica oggi anche la IV edizione del rapporto Circonomia, presentato oggi a Roma nel corso dell’omonimo festival promosso in collaborazione con Legambiente, Kyoto club e Fondazione Symbola.

«A colpire è il brusco rallentamento del cammino “green” italiano negli ultimi anni. In tutti gli indicatori tranne uno (tasso di riciclo dei rifiuti), dal 2018 in poi corriamo di meno della media dei Paesi Ue», riassume il direttore scientifico del festival, Roberto Della Seta.

Il rapporto Circonomia stima infatti un tasso di riciclo sul totale dei rifiuti (urbani e speciali) in cui l’Italia «doppia la media dell’Ue, oltre l’80% contro meno del 40%», anche se è un raffronto che non è facile fare per quanto riguarda i rifiuti speciali (che rappresentano l’80% circa del totale); soprattutto, l’effettivo re-impiego dei materiali riciclati nell’economia nel 2021 è tornato ai livelli del 2017 (18,4%) pur restando al di sopra della media Ue (11,7%).

In altre parole l’81,6% dell’economia italiana non è circolare, sebbene questo sia il risultato più positivo che vanta il nostro Paese sul fronte della transizione ecologica. Il resto va peggio, anche a causa degli investimenti in ricerca e sviluppo fermi all’1,48% del Pil contro il 2,26% della media Ue (in Germania si arriva al 3,13%).

Nonostante in Italia sia la temperatura media cresciuta di «quasi 3 °C rispetto al periodo pre-industriale», dunque con un impatto quasi triplo del riscaldamento globale rispetto alla media internazionale, l’ambito nel quale l’arretramento italiano appare più rilevante è il trend di crescita delle nuove energie rinnovabili: nel 2022 la produzione italiana da eolico ha segnato -1% (in Ue +9%) e quella da fotovoltaico +10%, contro il +26% dell’Ue.

Al palo anche l’efficienza energetica (come quantità di energia fossile consumata per unità di Pil tra il 2018 e il 2021 siamo stati sorpassati da Spagna e dalla Francia e quasi raggiunti dalla Germania, che ci erano largamente dietro) e di penetrazione della mobilità elettrica (nel 2022 la quota di auto elettriche sul totale delle immatricolate era del 4%, contro il 12% della media Ue).

Eppure la classe dirigente appare ancora restia ad affrontare i problemi strutturali che frenano la transizione ecologica, a partire dalle sindromi Nimby (non nel mio cortile) e Nimto (non nel mio mandato elettorale) che bloccano le rinnovabili, adducendo spesso una falsa contrapposizione tra il loro sviluppo e la tutela del paesaggio.

Un tema su cui è soffermato anche oggi Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera per i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, intervenendo proprio al festival: «L’approvvigionamento energetico non può andare a scapito della salvaguardia del paesaggio. Se abbiamo un deficit di energia non possiamo andare a spalmare sul territorio milioni e milioni di pale eoliche e pannelli fotovoltaici perché rischiamo di distruggere questa ricchezza e procurando un’altra emergenza, ancora più pericolosa, quella alimentare».

Una ricostruzione tutt’altro che accurata. Secondo la principale associazione confindustriale del comparto elettrico (Elettricità futura) per l’installazione di tutti i nuovi impianti rinnovabili al 2030 sarebbe sufficiente lo 0,3% del territorio italiano; guardando al solo fotovoltaico si parla al massimo dello 0,15% della superficie nazionale, o lo 0,3% di quella agricola, o l’1,3% della superficie agricola abbandonata. In linea con queste stime, Legambiente, Greenpeace e Wwf stimano per il fotovoltaico un massimo dello 0,4-0,6% della superficie agricola utile (Sau).

Non a caso sempre Legambiente e Wwf, insieme al Fai e col sostanziale appoggio di Greenpeace, hanno siglato l’intesa “paesaggi rinnovabili” per riconoscere la necessità di nuovi impianti a tutela anche di un paesaggio che nella storia italiana è sempre cambiato e che cambierà ancora, ma che con l’avanzare della crisi climatica rischia di essere devastato: gli impianti rinnovabili sono il necessario compromesso per contribuire a sventare questo scenario.

L’articolo Circonomia, la transizione ecologica italiana si è fermata mentre l’Ue continua ad avanzare sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.