In crisi climatica la siccità è diventata la nuova norma, anche per la Toscana, dove il 2022 è stato l’anno più caldo degli ultimi tre decenni in Toscana, con un deficit delle precipitazioni del 13%. Il Forum Acqua di Legambiente Toscana, svoltosi ad Arezzo nei giorni scorsi, ha provato a delineare quali siano le opzioni percorribili per affrontare il problema, a partire dal comparto più idroesigente di tutti: quello agricolo.

«Gli usi agricoli incidono fino al 70% sui prelievi nazionali di acqua (il dato medio riportato da Legambiente e Utilitalia nell’autunno scorso si ferma invece al 55%, ndr). Per questo – spiega Fausto Ferruzza, presidente di Legambiente Toscana – è necessario cercare soluzioni in un momento di crisi climatica che ha la sua evidenza scientifica, con lunghi periodi di siccità che si alternano a eventi meteo sempre più estremi, con enormi e diffuse conseguenze sulle nostre colture».

Di fronte all’avanzare della siccità la Toscana resta a galla grazie agli invasi di Montedoglio e Bilancino, che attualmente sono pieni, ma anche in questo caso serve garantire l’efficientamento delle strutture, il controllo e la misura dei consumi: a Montedoglio ad esempio l’acqua c’è, ma mancano le infrastrutture adeguate a portarla nei campi.

Guardando invece ai piccoli invasi, Legambiente documenta che in Toscana ci sono già oltre 16mila laghetti, ma anche questi hanno necessità di manutenzione per lavorare correttamente.

«La soluzione non è costruire nuovi invasi sui corsi d’acqua, non è utilizzare altro cemento – argomenta Federico Gasperini, direttore di Legambiente Toscana – Dobbiamo gestire quelli esistenti ma soprattutto è necessario immagazzinare acqua nel sottosuolo, ricaricando anche artificialmente le falde. Serve ripristinare i cicli dell’acqua, puntare sul riutilizzo acque reflue laddove possibile, sull’uso di colture meno esigenti, sull’agricoltura di precisione e sui sistemi agroforestali per riattivare la fertilità dei suoli. Ci vuole un’agricoltura coraggiosa che possa portare il contributo per fare passo in avanti in tal senso».

Per Legambiente il potenziale che avrebbero insieme la raccolta delle acque meteoriche nelle città e il riutilizzo di quelle reflue per l’agricoltura è pari a 22 miliardi di metri cubi all’anno, cioè circa 3 volte la capacità contenuta nei 374 grandi invasi in esercizio, che ammonta a circa 6,9 miliardi di metri cubi. Il riutilizzo delle acque reflue permetterebbe una forte riduzione dell’impronta idrica però necessita di maggiori investimenti per una stringente applicazione del regolamento Ue 741/2020.

Ad oggi, un esempio di buona pratica in tal senso è il riciclo delle acque reflue avvenuto nel distretto industriale di Prato, per uso industriale e civile (antincendio) ma non ancora autorizzate per l’irriguo a causa di un problema legato ai cloruri, attualmente monitorati. Negli anni futuri potrebbero essere utilizzate per lavaggio strade, autolavaggi, uso irriguo, florovivaistico e industriale.

Altra grande problematica legata alla gestione idrica sono le perdite negli acquedotti, che anche in Toscana rimangono ancora alte, attestate intorno al 40%. E la situazione nelle aree costiere è quella più complicata, come all’isola d’Elba con fabbisogni di turismo e agricoltura. Non a caso proprio in quest’area, che dipende dalla Val Di Cornia, è in corso il progetto del dissalatore di Mola.

Quel che manca sono però «soluzioni che siano parte di una strategia complessiva di adattamento – osserva Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – Siamo di fronte all’estate, il Governo è cambiato ma il problema di governance è rimasto. Serve uso più sostenibile della risorsa, come l’uso delle acque reflue depurate per implementare il riutilizzo di acqua già entrata nel ciclo antropico per ridurre lo stress idrico».

L’articolo Contro la siccità, riutilizzo delle acque reflue in agricoltura e non solo sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.