Si è svolto ieri a Empoli un acceso scontro sulla proposta di Distretto circolare basato sulla tecnologia waste-to-chemicals: la sindaca Brenda Barnini, l’assessore regionale all’Ambiente Monia Monni e l’ad di Alia – la società interamente pubblica che gestisce i servizi d’igiene urbana sul territorio – Alberto Irace hanno chiamato a raccolta i cittadini e i comitati contrari all’ipotesi per spiegarne le ragioni, ma dai presenti si è alzato un muro.

Della costituzione della consulta cittadina Rab (Resident advisory board), originariamente al centro dell’incontro per proseguire il percorso di partecipazione, neanche si è parlato; non c’è stata al momento apertura verso uno strumento consultivo di partecipazione, dato che la richiesta è che siano solo i cittadini locali in protesta – protesta che lo scorso sabato ha richiamato in piazza circa 2mila persone – ad avere l’ultima parola nel merito di un impianto pensato per rispondere almeno in parte alle esigenze delle province di Firenze, Prato e Pistoia, in un’ottica di gestione regionale dei rifiuti.

Tra le perplessità sollevate dal palco durante le tre ore dell’incontro (disponibili integralmente sulla pagina Facebook del Comune) alcune meritano certamente ulteriori approfondimenti: su tutte, quelle che vertono sul dimensionamento dell’impianto e sulle emissioni di inquinanti in atmosfera.

Il Distretto circolare è pensato per produrre idrogeno e metanolo a partire da 256mila t/a di rifiuti non riciclabili meccanicamente (come Css e plasmix), altrimenti destinati a discarica o termovalorizzazione. Pochi, troppi?

«L’Ato centro – ha spiegato Monni durante l’incontro – genera 878mila t/a di rifiuti (urbani, quando in Toscana gli speciali sono oltre il quadruplo, ndr), di questa quantità il 67% è raccolto in modo differenziato (596mila t/a) e di questa differenziata 120mila t/a sono scarti che vengono inviati fuori dall’Ato centro: non tutto quello che si produce può infatti essere riciclato o riciclato all’infinto. Poi c’è l’indifferenziato, pari a 280mila t/a: per l’8% va nell’inceneritore di Montale, per il 3% in quello di Poggibonsi, mentre tutto il resto transita dai Tmb (Trattamento meccanico-biologico, ovvero i famosi “impianti a freddo”, ndr) e va in discarica. Tra scarti della raccolta differenziata e indifferenziato, la somma è pari a circa 400mila t/a di rifiuto non riciclato che va a smaltimento».

La risposta alle perplessità sul sovradimensionamento appare dunque evidente: anche senza contare i pur presenti rifiuti speciali, il dimensionamento del Distretto circolare di Empoli potrebbe soddisfare poco più della metà del fabbisogno dell’Ato in cui è inserito. E anche rispettando i target europei sulla gestione rifiuti previsti al 2030, il gap impiantistico da colmare rimarrebbe.

Non c’è ancora, invece, sufficiente chiarezza sulle emissioni di inquinanti in atmosfera che proverrebbero dall’impianto: un’accusa rinfacciata dai comitati ai proponenti, sottolineando in particolare che in alcune slide fosse ben evidenziata l’assenza di NOx quando in successivi incontri è stata poi fornita un’informazione diversa. S’intendeva forse dire che le emissioni di NOx sono attese talmente basse da essere pressoché ininfluenti? Si tratta di incertezze dovute al fatto che, più semplicemente, un progetto definitivo dell’impianto ancora non c’è? Possibile: è comunque necessario chiarire fino in fondo e mostrare tutti i dati a disposizione, perché istituzioni e imprese sono chiamate a mettere in campo una trasparenza assoluta per provare a recuperare fiducia nella cittadinanza.

Al contempo, anche la cittadinanza in protesta dovrebbe essere disponibile a guardare al di là del proprio orticello e confrontarsi con le oggettive problematiche di un ciclo gestione rifiuti che, in Toscana, non si chiude proprio a causa della carenza d’impianti sul territorio, con riflessi sia ambientali sia economici negativi che impattano sulla collettività. Nell’incontro di ieri, questa disponibilità però non c’è stata.

«I progetti – ha assicurato Irace – saranno necessariamente pubblici, ma se ci si vuole confrontare prima di presentare un progetto è necessario che le parti che ritengono di avere punti di vista diversi concordino su come ci si confronta, altrimenti è solo una rissa. Per questo noi siamo pronti a chiedere alla Regione di avere più tempo, per fare prima questo confronto: noi siamo pronti a farlo, se il confronto interessa. Come prevedono le norme, presenteremo un progetto che avrà tutti gli elementi per essere anche demolito, ma con argomenti».

A fronte di questa rinnovata disponibilità, dalla platea si è alzato un boato di no. I contrari non hanno chiesto un progetto dettagliato da valutare insieme alle istituzioni, ma una valutazione ambientale “pre-progetto” (?) che certifichi come il luogo ipotizzato per il Distretto circolare (ovvero l’area industriale del Terrafino) sia inadatto ad ospitarlo perché “si tratta di un’area vergine, agricola” o perché è già “una delle aree più inquinate d’Europa”, a seconda dell’opinione degli intervenuti in sala: “qui non ci sono le condizioni, è il posto che non va bene”, ha sintetizzato un altro intervento.

Questa però non è partecipazione: è solo l’ennesima sindrome Nimby (non nel mio cortile) che sta gettando la maschera. O, per dirla con le parole di Legambiente Toscana, la «facile demagogia» contro la gestione rifiuti. Rifiuti però che tutti generiamo ogni giorno, e che non spariscono dopo essere stati semplicemente suddivisi in tanti sacchetti colorati.

Se questi resteranno i termini del confronto, sarà difficile riuscire a scioglierli nell’ambito della razionalità. Le legittime preoccupazioni di una cittadinanza sfiduciata si fondono con gli slogan “rifiuti zero”, “emissioni zero” o addirittura “impatto zero”, come se qualsiasi attività umana (per lo più industriale) possa essere davvero a impatto ambientale zero.

Una retorica velenosa cui da anni non solo i comitati ma anche molte istituzioni e sigle ambientaliste lisciano il pelo, per poi avvitarsi in un inevitabile vicolo cieco dove l’ottimo è nemico del buono. Per provare ad uscire da questo cul-de-sac non resta  forse che la via della traversata nel deserto: mettere in campo uno straordinario impegno politico e culturale per coltivare l’idea che, senza impianti a supporto sui territori, quella della transizione ecologica resta e resterà un’ambizione vuota.

L’articolo Distretto circolare di Empoli, dalla protesta alla sindrome Nimby il passo è breve sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.