Si stima che ogni essere umano ingerisca involontariamente circa 5 gr di plastica alla settimana, ma al contempo sappiamo che ne respiriamo anche molta: microplastiche sono state già trovate nel sistema respiratorio umano, come anche in quello di alcuni uccelli.
Ma che cosa succede quando inaliamo dei microscopici pezzetti di plastica? Per rispondere i ricercatori dell’Università di tecnologia di Sydney (Uts), guidati dall’ingegnere meccanico Suvash Saha, hanno condotto un nuovo studio incentrato sul capire dove si depositano microplastiche di varie dimensioni e forme una volta inspirate.
«L’inquinamento atmosferico da particelle di plastica è ormai pervasivo e l’inalazione è la seconda via più probabile per l’esposizione umana – spiega Saha (nella foto) – Prove sperimentali suggeriscono fortemente che queste particelle di plastica amplificano la suscettibilità umana a uno spettro di disturbi polmonari, tra cui la malattia polmonare ostruttiva cronica, la fibrosi, la dispnea (mancanza di respiro), l’asma e la formazione di quelli che vengono chiamati noduli di vetro smerigliato».
I risultati dello studio hanno individuato i punti caldi nel sistema respiratorio umano dove le particelle di plastica possono accumularsi, spaziando dalla cavità nasale alla laringe, fino ai polmoni.
«Tassi di respirazione più rapidi – aggiunge Saha – hanno portato a un aumento della deposizione nel tratto respiratorio superiore, in particolare per le microplastiche più grandi, mentre una respirazione più lenta ha facilitato la penetrazione più profonda e la deposizione di particelle nanoplastiche più piccole. La forma delle particelle era un altro fattore, con le particelle microplastiche non sferiche che mostravano una propensione alla penetrazione polmonare più profonda rispetto alle microplastiche sferiche e alle nanoplastiche, portando potenzialmente a diversi esiti sulla salute».
Ma da dove arrivano tutte queste microplastiche? «I tipi principali sono fabbricati intenzionalmente, inclusa un’ampia gamma di cosmetici e prodotti per la cura personale come il dentifricio», argomenta Saha. Ma l’Ue lo scorso anno (e l’Italia già dal 2020) ha vietato l’uso delle microplastiche nei cosmetici e in altri prodotti.
«Quelli secondari – continua il ricercatore – sono frammenti derivati dal degrado di prodotti di plastica più grandi, come bottiglie d’acqua, contenitori per alimenti e vestiti. Indagini approfondite hanno identificato i tessuti sintetici come la principale fonte di particelle di plastica trasportate dall’aria negli ambienti interni, mentre l’ambiente esterno presenta una moltitudine di fonti che vanno dagli aerosol contaminati provenienti dall’oceano alle particelle provenienti dal trattamento delle acque reflue».
Si tratta di osservazioni in linea coi dati già noti sulla produzione di microplastiche. Le microplastiche si classificano principalmente primarie (rilasciate direttamente nell’ambiente sotto forma di piccole particelle, rappresentano il 15-31% di quelle disperse in mare) e secondarie (prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi come buste di plastica, bottiglie o reti da pescato, sono il 68-81% di quelle presenti in mare).
Secondo i dati messi in fila dall’Europarlamento il 35% delle microplastiche primarie deriva dal lavaggio di capi sintetici, il 28% dall’abrasione degli pneumatici durante la guida, mentre il 2% è composto dalle microplastiche aggiunte intenzionalmente nei prodotti per la cura del corpo.
L’origine del problema ovviamente non sta nelle plastiche in sé, ma nella loro dispersione in ambiente; occorre dunque sviluppare migliori sistemi di raccolta e gestione dei rifiuti plastici (l’Italia, guardando ai soli rifiuti plastici da imballaggio, ne avvia a riciclo il 56,15%). È comunque evidente che il continuo aumento nella produzione di plastiche, per i più svariati usi, stia rendendo vani gli sforzi contro l’inquinamento da microplastiche.
Partendo da questa consapevolezza, lo scorso settembre il Programma dell’Onu per l’ambiente (Unep) ha pubblicato la “bozza zero” del trattato globale contro l’inquinamento da plastica.
L’obiettivo, sottoscritto nel marzo del 2022 da 175 Paesi del mondo, è quello di concretizzare un trattato giuridicamente vincolante contro l’inquinamento da plastica entro la fine del 2024.
La buona notizia è che, sempre secondo l’Unep, l’inquinamento da plastica può essere ridotto dell’80% entro il 2040 usando le tecnologie esistenti riducendo del 55% la produzione di plastica vergine e puntando sull’economia circolare; si potrebbero così risparmiare 4,52 trilioni di dollari a livello globale e creare 700mila nuovi posti di lavoro.
L’articolo Ecco dove si accumulano microplastiche che respiriamo sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.