Secondo il nuovo rapporto “Sos Mare fuori. Minacce e soluzioni per la tutela del mare aperto”, pubblicato dal Wwf Italia in occasione della Giornata mondiale degli oceani, «Il mare fuori, che ‘lontano dagli occhi’ occupa i territori oltre le 12 miglia dalla costa, è essenziale per la vita marina e di conseguenza per la nostra salute e benessere, ma due terzi (66,8%) del mare aperto italiano sono sotto assedio:traffico marittimo, pesca insostenibile, inquinamento tutto aggravato dagli impatti del cambiamento climatico che colpiscono fortemente tutto il Mediterraneo. In questo spazio vivono, si nutrono, si riproducono, o semplicemente lo attraversano nei loro spostamenti, le specie ‘pelagiche’, tra cui balenottere comuni, capodogli, globicefali, tursiopi, stenelle, foche monache ma anche tartarughe marine, squali, tonni, pesci spada e fuori dall’acqua uccelli come berte, sterne e uccelli delle tempeste. E’ urgente salvare questo spazio sconosciuto e ricchissimo di vita, ricco di paesaggi variegati con montagne sottomarine (circa 300 in tutto il Mediterraneo), fosse profonde che si inabissano fino a 5.000 metri di profondità e oltre 500 canyon sottomarini, dove la biomassa e l’abbondanza di specie possono essere da 2 a 15 volte superiori rispetto alle aree circostanti alle stesse profondità».

Il Wwf ribadisce il suo messaggio: «Proteggere il Capitale Blu e garantire i servizi ecosistemici del Mediterraneo, che generano, tra risorse ed attività, un valore annuo di 450 miliardi di dollari: uno dei mari economicamente più importanti al mondo» e sottolinea che «Per proteggere il ‘mare fuori’ occorre garantire uno spazio sufficiente per la biodiversità e una gestione sostenibile delle sue risorse, anche con la collaborazione tra istituzioni, paesi e organizzazioni. Ad oggi solo il 4,2% dell’intero spazio marittimo italiano è protetto, si arriva a un 5% se si considerano anche le misure di gestione spaziale della pesca come le Zone di Tutela Biologica e le Zone di Restrizione della Pesca (FRA)».

Il report chiede che «L’Italia si attivi concretamente e con urgenza per tutelare il 30% di tutto lo spazio marittimo, con aree marine protette, siti natura 2000 ma anche misure di gestione della pesca efficaci. 10 le aree prioritarie per la protezione, nuova o rafforzata, del mare aperto identificate dal Wef : Canale di Sicilia e Sud Adriatico, due macro-aree già riconosciute come Aree Ecologicamente e Biologicamente Significative dalla Convenzione sulla Diversità Biologica, ma anche Golfo di Taranto, Arcipelago Pontino, Canyon di Castelsardo, Canyon di Caprera, Arcipelago campano, Arcipelago toscano, Arcipelago eoliano e Santuario Pelagos».

Ma il Panda avverte che «Per garantire che anche nel restante 70% del mare, le attività umane siano condotte nel rispetto degli ecosistemi marini, evitando ulteriori danni a un ambiente già degradato e minacciato sarà cruciale anche la capacità del nostro paese di pianificare e gestire tutto il suo spazio marittimo, un’area di 537.733 km2 . Per farlo, l’Italia deve implementare senza ulteriori ritardi i piani di gestione dello spazio marittimo, le cui bozze ancora non soddisfano criteri chiave, come l’identificazione delle aree per il 30×30 e per le rinnovabili offshore, e la gestione degli impatti del cambiamento climatico».

Il report Wwf denuncia l’assedio crescente alle risorse del mare pelagico, dove «Alla biodiversità marina resta solo un 27% teoricamente libero dagli impatti diretti (ma non da quelli indiretti e cumulativi). Il 73% degli stock ittici vengono ancora pescati oltre i limiti sostenibili, più velocemente della capacità di riprodursi delle specie. Sebbene lo stock di tonno rosso del Mediterraneo e Atlantico orientale sia finalmente in via di recupero grazie a efficaci misure gestionali, permane la pratica completamente insostenibile delle gabbie di ingrasso dove, per far crescere 1 kg di tonno, servono 15 kg di piccoli pelagici, come acciughe e sardine, già sovrasfruttate.  Il “mare fuori” è un intreccio di autostrade percorse da navi sempre più numerose: nel Mediterraneo si concentra il 15% dell’attività marittima mondiale e il 20% del commercio marittimo globale con circa 200.000 navi all’anno. Un rischio crescente per le collisioni con i grandi cetacei».

E il dossier del Panda ricorda che «Il Mediterraneo è la sesta grande zona di accumulo dei rifiuti plastici al mondo e proprio in ambiente pelagico ci sono i peggiori accumuli: tra il corno della Corsica e l’isola di Capraia si accumulano rifiuti regolarmente per un gioco di correnti, una minaccia per il Santuario Pelagos dove si registrano i valori tra i più elevati di microplastiche al mondo. Colpa dei rifiuti ma anche degli attrezzi fantasma (reti e altri attrezzi da pesca abbandonati) che diventano anche trappole mortali per tartarughe, cetacei e squali.  L’inquinamento è aggravato dal traffico petrolifero (17% di quello mondiale è nel Mediterraneo) e dalle attività di estrazione al largo: ogni anno tra le 50.000-100.000 tonnellate di prodotti petroliferi finiscono in mare “solo” per gli sversamenti illegali. Ad aggravare la condizione già compromessa ci sono gli effetti del cambiamento climatico che amplificano tutti gli altri effetti. Acidificazione, deossigenazione, innalzamento del livello del mare, aumento della frequenza e intensità dei fenomeni estremi rendono anche la biodiversità pelagica più vulnerabile. E’ stata registrata già una riduzione delle dimensioni del plancton e delle sue proprietà nutrizionali. Nel Golfo del Leone, secondo studi recenti, le sardine disperdono più energie per nutrirsi di plancton e questo a scapito della loro crescita: dalla metà degli anni 2000 la loro dimensione è passata da una media di 15 a 11 cm (da 30 a 10 grammi) con impatti negativi sugli equilibri biologici e l’economia dell’area.  Infine, molti dei settori marittimi come l’installazione di parchi eolici off-shore, acquacoltura, trasporti e turismo di massa, sono tutti in espansione: il solo traffico marittimo è destinato ad aumentare del 4% all’anno fino al 2030. Tutte attività accomunate dall’occupazione di spazio che viene sottratto alla biodiversità marina con impatti cumulativi crescenti».

Nel report il Wwf elenca le soluzioni, tra le quali «La protezione del 30% del mare con una rete efficace di aree marine protette e altre misure di protezione spaziale (OECM) in ottemperanza alla nuova Strategia Europea sulla Biodiversità al 2030. Nuove aree protette nelle acque offshore, efficacemente gestite, come richiesto dalla Politica Comune sulla Pesca dell’UE e dalla Commissione Generale per la Gestione della Pesca in Mediterraneo (CGPM  . Ma servono anche interventi efficaci sullo stock del tonno rosso e del pesce spada:  abbandonare la pratica delle gabbie di ingrasso per il primo,  e chiudere  la pesca dello spada in autunno per ridurre le catture di giovanili sotto-taglia, incrementando i controlli sulla filiera per porre fine alla commercializzazione degli spadini,  Essenziale per il “mare fuori” è anche la protezione dei ‘blue corridors’, corridoi ecologici cruciali per i cetacei, come il corridoio delle Baleari, già riconosciuto come Area Specialmente Protetta di Importanza Comunitaria (ASPIM) Importante lo sforzo di ampliamento in corso dal 2021 per l’istituzione della Particularly Sensitive Sea Area (PSSA) , nel Mediterraneo nord-occidentale che collegherà  il Corridoio delle Baleari al Santuario Pelagos, e per la quale il WWF chiede la riduzione obbligatoria della velocità delle navi a 10 nodi e l’applicazione di tecniche di rilevamento, per ridurre al minimo  il rischio di collisioni tra navi e grandi cetacei. La Pianificazione dello Spazio marittimo, che l’Europa ci chiede di impostare attraverso  una apposita  Direttiva Europea è lo strumento attraverso il quale pianificare in maniera integrata ed ecosistemica gli obiettivi di tutela dell’ambiente marino e delle sue risorse, garantendo contemporaneamente un’economia blu veramente sostenibile».

Ma per una sua implementazione efficace il Wwgf chiede «Una maggiore collaborazione e sinergia tra tutte le istituzioni, dal ministero per l’ambiente e la sicurezza energetica, al ministero per l’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, ministero delle infrastrutture e dei trasporti e ministero degli affari esteri, e, soprattutto, una maggiore cooperazione con la società civile».

E la società civile si sta muovendo per difendere il mare e le sue creature con progetti come  tartalove.it  che ha portato la tartaruga Caretta caretta Libera dalla cattura accidentale da parte di un peschereccio, al soccorso e alle cure mediche fino alla liberazione in mare.

Una storia a lieto fine che ha visto oggi la nuotatrice olimpionica Federica Pellegrini liberare la tartaruga marina l largo del comune di Mattinata (FG) in Puglia.

Libera era stata salvata dai pescatori e curata al Centro di recupero e soccorso delle tartarughe marine (Crtm) di Manfredonia, gestito da Legambiente e, in occasione della Giornata Mondiale degli Oceani, la Pellegrini ha deciso di sposare la causa della campagna Tartalove di Legambiente, adottando una delle tartarughe ospiti nel Crtm.

Dopo la visita al Centro per conoscere la “sua” tartaruga, la Pellegrini, abordo di un gommone e accompagnata dagli operatori del Crtm e del Circolo Velico Gargano, si è allontanata dal porto per raggiungere una zona tranquilla dove liberare la tartaruga.  La campionessa è poi entrata in acqua per accompagnare Libera dal gommone alle onde del mare, nuotando per qualche momento insieme a lei.

Dopo questa splendida esperienza, la Pellegrini ha spiegato: «Ho adottato Libera e ne sono felice. Liberare in mare la mia tartaruga marina, grazie alla campagna di Legambiente “TartaLove”, è un’esperienza che invito tutti a provare. Un gesto, semplice ed emozionante, per prenderci cura di questo ambiente magnifico.

Tartalove è una campagna di raccolta fondi avviata da Legambiente per la salvaguardia della Caretta caretta nel mar Mediterraneo. Si tratta di una specie in pericolo perché fortemente minacciata dalla pesca professionale, dal traffico nautico, dall’inquinamento e dai rifiuti plastici che sempre più spesso vengono ingeriti da questi animali che li scambiano per le prede di cui si nutrono. Sono almeno 130.000 le tartarughe marine in pericolo di vita ogni anno nel Mediterraneo. E almeno 40.000 quelle che muoiono a causa delle catture accidentali, dei rifiuti ingeriti e per traumi causati dal traffico nautico.

Legambiente è da anni impegnata nella salvaguardia delle tartarughe marine attraverso un’azione integrata che prevede attività di recupero, cura, informazione e sensibilizzazione, affinché tutti possano prendere parte al cambiamento. Negli ultimi 10 anni, grazie alla campagna e ai Centri di Recupero e Primo Soccorso, sono stati salvati oltre 2.000 esemplari.

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