Il rapporto “An Environmental Genocide: Counting the Human and Environmental Cost of Oil in Bayelsa, Nigeria” dell’Oil & Environmental Commission dello Stato nigeriano di Bayelsa, «Negli ultimi 50 anni, le compagnie petrolifere e del gas, guidate da Shell, Eni, Chevron, Total ed ExxonMobil, hanno sversato 110.000 barili di petrolio nello Stato di Bayelsa.

La commissione di esperti, la prima del suo genere ad essere nominata direttamente da un governo statale nel delta del Niger, notoriamente inquinato, si è insediata nel 2019 e ora denuncia anche «La scoperta nello Stato di livelli di metalli pesanti associati alla produzione di petrolio nei tessuti umani che sono di gran lunga superiori ai livelli di sicurezza».  L’Oil & Environmental Commission di Bayelsa, ha a Shell, Eni e alle altre multinazionali di «Istituire un fondo di risanamento da 12 miliardi di dollari per affrontare gli impatti ambientali e sulla salute dell’industria petrolifera a Bayelsa».

Lo Stato di Bayelsa si trova sulla costa della Nigeria e un tempo comprendeva parti della più grande foresta di mangrovie dell’Africa. Quel che resta delle sue mangrovie, le isole barriera costiere e le foreste pluviali e di pianura ospitano ancora una notevole biodiversità che comprende i colobi rossi (Piliocolobus epieni) minacciati di estinzione, mentre sono scomparse le un tempo numerose popolazioni di scimpanzé della sottospecie Nigeria-Camerun (Pan troglodytes ellioti) e di ippopotami pigmei (Choeropsis liberiensis).

Lo sfruttamento coloniale delle risorse di Bayels è iniziato nel XVII secolo con le piantagiuoni di olio di palma della Royal Niger Company ed è poi continuato con la deforestazione on regolamentata e, a partire dagli anni ’50, con l’estrazione di petrolio e gas. Ed è proprio l’industria petrolifera che ha avuto un terribile impatto sull’ambiente e sulle comunità di pescatori e agricoltori del delta.

Secondo i dati ufficiali del governo nigeriano citati nel rapporto, «Ogni anno si verificano almeno 234 fuoriuscite di petrolio» in uno Stato che si estende su appena 3.500 chilometri quadrati. Tra il 2006 e il 2020, almeno 110.000 barili di petrolio sono stati versati nei suoi fiumi, paludi e foreste, il 90% dei quali proveniva da impianti di proprietà di sole 5 compagnie petrolifere: Shell, Eni, Chevron, Total ed ExxonMobil.

Kathryn Nwajiaku-Dahou, responsabile programma del tank britannico Overseas Development Institute e presidente del team di lavoro di esperti della Bayelsa State Oil and Environmental Commission, ha detto che «Per le persone che vivono a Bayelsa, l’aria che respirano, l’acqua che bevono, il pesce da cui dipendono e le terre che coltivano sono tutte ricche di petrolio». E la commissione avverte che queste cifre drammatiche sono quasi certamente sottostimate perché la maggior parte delle statistiche sulle fuoriuscite di petrolio nel delta del Niger provengono dalla Nigerian Oil Spill Detection and Response Agency (NOSDRA), un ente del governo federale della Nigeria che si avvale delle stesse multinazionali petrolifere per trasportare i sui  ispettori nelle aree remote dove si verificano sversamenti di petrolio, e le cifre frutto di queste ispezioni “guidate” sono fino a tre volte inferiori al numero di barili persi registrati da altri enti del governo nigeriano che sono responsabili del monitoraggio della produzione.

Nwajiaku-Dahou avverte che «C’è un’intera economia politica attorno al modo in cui vengono identificate le fuoriuscite – c’è chi le designa come colpa della compagnia petrolifera o sabotaggio di terze parti – e le conseguenze di ciò. Tutto questo significa che c’è una tendenza a sottovalutare. E non è solo una tendenza, è una sorta di distorsione deliberata del modo in cui si descrivono e si accertano gli sversamenti che è incorporata nel sistema».

Il rapporto afferma che in 50 anni di produzione  di idrocarburi a Bayelsa  potrebbe essere stata sversata una la quantità di petrolio fino a 10-15 volte quella del gigantesco disastro della Exxon Valdez.

La commissione ha anche lavorato con scienziati forensi e ricercatori medici per raccogliere e testare campioni di acqua, sedimenti, piante e animali nella catena alimentare in 17 siti a Bayelsa e ha scoperto Lhe l’acqua superficiale nei siti di test mostrava concentrazioni di “idrocarburi di petrolio totali” – composti chimici presenti nel petrolio greggio associati a rischi per la salute – che erano almeno 300 volte il valore massimo di sicurezza in ogni campione prelevato». In un sito, la concentrazione era oltre 700.000 volte il limite di sicurezza.

I ricercatori hanno anche prelevato campioni di sangue e tessuti da 1.600 persone che vivono in tutto lo Stato e dalle analisi è emerso che «Nelle persone che vivono a Bayelsa, la quantità di metalli pesanti pericolosi come piombo e cadmio provenienti dall’inquinamento da petrolio erano fino a 6 volte superiore rispetto a quanto è sicuro». Piombo e cadmio sono cancerogeni e possono causare malformazioni alla nascita, danni neurologici e altri gravi rischi per la salute.

Nelle testimonianze pubblicate nel rapporto, gli abitanti di Bayelsa descrivono la pericolosa situazione in cui vivono, con gravi problemi di salute in corso, corsi d’acqua avvelenati e un sistema bizantino di requisiti legali e aziendali per la valutazione delle fuoriuscite che ha reso loro quasi impossibile ottenere un risarcimento per i danni.

Bubaraye Dakolo, sovrano tradizionale del regno di Ekpetiama e presidente del Bayelsa State Council of Chiefs, ha detto ai ricercatori: «Vivo a meno di 500 metri da un impianto petrolifero multimiliardario che emette nell’aria gas tossici ogni giorno. Sono un sovrano tradizionale nello stato di Bayelsa. L’enorme sofferenza causata dall’inquinamento da petrolio nel mio regno mi colpisce, mi soffoca e mi guarda in faccia ogni giorno».

I rappresentanti della Bayelsa State Oil and Environmental Commission hanno detto a Mongabay che «Mentre l’entità dei danni nella regione è nota da decenni, speriamo che il timbro ufficiale di un governo locale contribuirà a stimolare l’azione». Michael Watts, professore emerito all’università della California – Berkeley, e uno dei principali autori del rapporto, sottolinea che «E’ importante che il governo dello stato di Bayelsa abbia commissionato questo, perché è un segnale per la Nigeria e il governo federale – ma anche per il mondo in generale – della gravità delle crisi accumulate, ciò che il nostro rapporto definisce un ecocidio. Siamo a un punto critico che necessita davvero di enormi risorse e attenzione a livello internazionale e nazionale».

La commissione è stata molto critica nei confronti del quadro normativo e di monitoraggio della Nigeria, compreso il Petroleum Industry Act recentemente approvato, e accusa: «La Nigeria non è riuscita a concedere poteri adeguati alle agenzie ambientali, affidando invece la supervisione nelle mani di organi governativi più strettamente legati al lato commerciale dell’industria petrolifera».

Gli ambientalisti del Delta del Niger hanno fatto notare che i risultati del rapporto hanno messo nero su bianco quel che avevano visto e denunciato durante decenni di produzione di petrolio a Bayelsa. Alagoa Morris del Niger Delta Resource Center ricorda che «Lo stato di Bayelsa è stato dichiarato [dalla NOSDRA] come il più inquinato della Nigeria, e non c’è mai stata alcuna bonifica adeguata».

Il rapporto arriva mentre compagnie come Shell stanno attuando un abbandono accelerato dal delta del Niger, spostando le loro operazioni in pozzi offshore in acque profonde, nel tentativo di rispettare i loro impegni climatici ed evitare una cattiva pubblicità. La Shell sta affrontando cause legali in diversi Paesi per l’impatto delle sue operazioni in Nigeria, e gli attivisti di Bayelsa dicono di temere che, insieme alle altre major petrolifere, lascerà la regione senza ripulire il caos che si è lasciata alle spalle.

Per Morris, «Shell dovrebbe fare le dovute pulizie prima di vendere e cedere, e lo stesso vale per qualsiasi compagnia che opera nel delta del Niger e nello Stato di Bayelsa»

La commissione vuole che «Shell, Eni e le altre major petrolifere capitalizzino un fondo di 12 miliardi di dollari» ritenuto necessario per affrontare i danni arrecati agli ecosistemi e alle comunità di Bayelsa negli ultimi 50 anni. Nel 2022, Shell ha realizzato un record di 40 miliardi di dollari di profitti e anche Eni ha registrato il suo record con 14 miliardi di dollari. Gli autori del rapporto dicono che «Una parte di quei profitti dovrebbe essere diretta a Bayelsa, che ha sofferto non solo sotto il regime petrolifero e del gas degli ultimi 75 anni, ma sotto le pressioni estrattive per secoli».

Nwajiaku-Dahou conclude: «“Questa è l’area nella quale nel XVI secolo venivano rapiti gli schiavi per la tratta degli schiavi transatlantica, poi il commercio di massa dell’olio di palma ha sostituito la schiavitù e ora il petrolio e l’estrazione di petrolio e gas hanno seguito lo stesso percorso, sostanzialmente distruggendo non solo l’ambiente, ma la fonte di vita e di sostentamento per la maggior parte delle persone nel Delta. Non è solo una tragedia, è criminale».

L’articolo Il genocidio ambientale del Bayelsa. Come Shell, Eni e le altre multinazionali hanno avvelenato il Delta del Niger sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.