Gli afghani che vivevano vicino alle vaste basi americane affermano che la mancanza, anche minima, di protezione ambientale da parte dell’esercito americano ha inquinato la loro terra, avvelenato la loro acqua e fatto ammalare i loro bambini. Le conseguenze della contaminazione possono durare per generazioni.

L’indagine “America’s War in Afghanistan Devastated the Country’s Environment in Ways That May Never Be Cleaned Up”, pubblicata da Lynzy Billing su Inside Climate News,  coprodotta con New Lines Magazine e sostenuta in parte da un finanziamento del Fund for Investigative Journalism racconta quale sia l’eredità tossica della guerra (persa) dagli Usa e dalla NATO (Italia compresa) contro i talebani in Afghanistan. E per farlo parte dal confine con il Pakistan, «Una regione martellata dalle bombe americane dall’inizio della guerra» e infestata. Nell’aprile 2017, l’esercito Usa ha sganciato qui, ad Asad Khel, la “madre di tutte le bombe”: la GBU-43/B Massive Ordnance Air Blast (MOAB) la bomba convenzionale più potente mai usata in combattimento.  Le Forze speciali statunitensi si stavano già ritirando dall’area, ma agli abitanti è stato permesso di tornare nelle loro case solo 8 mesi dopo la deflagrazione della MOAB e molti hanno subito iniziato a notare strani disturbi ed eruzioni cutanee. Inoltre la terra non produceva raccolti come prima ed era stata devastata per un raggio di oltre un miglio.

Come scrive la Billing, «I residui della bomba che affliggono il villaggio non sono che un esempio dell’eredità tossica della guerra sull’ambiente. Per due decenni, gli afgani hanno allevato figli, sono andati a lavorare e hanno partorito vicino alle vaste basi militari e ai pozzi di combustione americani, e gli effetti a lungo termine di questa esposizione rimangono poco chiari. Per affrontare le conseguenze della contaminazione ci vorranno generazioni. L’occupazione militare ventennale degli Usa ha devastato l’ambiente dell’Afghanistan in modi che forse non saranno mai completamente indagati o affrontati. Le forze militari americane e alleate, per lo più provenienti da Paesi NATO, hanno utilizzato ripetutamente munizioni che possono lasciare un’impronta tossica. Queste armi hanno introdotto nell’ambiente sostanze cancerogene, teratogene e genotossine – sostanze tossiche che possono causare difetti congeniti nel feto e danneggiare il DNA – senza alcuna responsabilità».

Gli Afghani denunciavano da tempo che le basi militari statunitensi scaricavano grandi quantità di liquami, rifiuti chimici e sostanze tossiche dalle loro basi sul terreno e nei corsi d’acqua, contaminando i terreni agricoli e le falde acquifere di intere comunità. Bruciavano anche bruciato immondizia e altri rifiuti nocivi in fosse all’aperto, alcune grandi quanto tre campi da calcio, soffocando i villaggi vicini con nuvole di fumo tossico.

Dai primi attacchi aerei del 2001, dopo l’11 settembre, contro i talebani, fino alla rovinosa ritirata 20 anni dopo, l’esercito Usa ha sganciato sull’Afghanistan oltre 85.000 bombe, a maggior parte delle quali conteneva RDX, un esplosivo che può colpire il sistema nervoso e che l’Environmental Protection Agency Usa considera possibile cancerogeno. Gli abitanti dei villaggi che vivevano vicino alle principali basi statunitensi e i medici afghani che li curavano denuncia no che il Pentagono non è disposto a fare nessuno sforzo ambientale per bonificare le sostanze che hanno causato gravi disturbi renali, cardiopolmonari , gastrointestinali e della pelle, anomalie congenite e molteplici tipi di cancro.

Eppure, discorso sullo stato dell’Unione del 2022, il presidente Usa Joe Biden descrisse il «Fumo tossico, denso di veleni, che si diffonde nell’aria e nei polmoni delle nostre truppe» e invitò il Congresso ad approvare la legge per «Assicurare che i veterani devastati dalle esposizioni tossiche in Iraq e Afghanistan ottengano finalmente i benefici e l’assistenza sanitaria completa che meritano». La cosa evidentemente non vale per gli Afghani invasi.

Pochi mesi dopo, il Congresso approvò un disegno di legge noto come Pact Act, che aggiungeva 23 condizioni di salute legate alle ustioni tossiche e all’esposizione per le quali i veterani potevano ricevere benefici, tra cui bronchite, malattia polmonare ostruttiva cronica e nove nuovi tipi di cancro respiratorio ammissibili. un costo di oltre 270 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. La legge ha rappresentato la più grande espansione dei benefici per i veterani da generazioni.

Gli Usa hanno addirittura il Comprehensive Environmental Response, Compensation and Liability Act secondo il quale il Dipartimento della difesa è deve assumersi la responsabilità di tutte le azioni correttive necessarie per proteggere la salute umana e l’ambiente causate dalle sue attività in passato, ma un regolamento vieta la bonifica ambientale nelle basi militari all’estero che non sono più in uso, a meno che non sia richiesto da un accordo internazionale vincolante o da un piano di bonifica negoziato con il Paese ospitante prima del trasferimento.

Nel 2011 i militari statunitensi in Afghanistan erano circa 110.000, quelli degli altri Paesi NATO 2000 e,  secondo lo Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction (SIGAR) producevano più di 410 tonnellate al giorno di rifiuti, la maggior parte dei quali è stata bruciata senza alcun controllo. Le leggi afghane che vietano le fosse di combustione non erano  applicabili per le forze statunitensi dai loro alleati e sono state utilizzate fino al suo ritiro Usa/NATO nell’agosto 2021, nonostante un divieto del 2018 per i pozzi di combustione «tranne nei casi in cui non è fattibile alcun metodo di smaltimento alternativo».

La Billing è originaria dell’Afghanistan ma è stata adottata da una famiglia statunitense, ma quando è tornata in Afghanistan ne 2019 come giornalista ha «Iniziato a comprendere la reale portata del danno che l’esercito americano ha inflitto all’Afghanistan. Alcune basi erano come piccole città, che eruttavano fumo 24 ore su 24 che contaminava l’orizzonte mentre processioni di camion pieni di rifiuti si riversavano fuori da esse».  Poi ha presentato una richiesta Freedom of Information Act (FOIA)  al SIGAR per ottenere le fotografie dei pozzi di combustione attivi e ha visto le carcasse arrugginite degli aerei dell’era sovietica e dei veicoli militari americani ammucchiati sulle basi. Una fotografia del 2011 dei rottami nella base di Shindand, nella provincia Herat, è esattamente la stessa visibile oggi e a Bagram le fosse di combustione erano attive fino a metà giugno del 2021. Nell’estate 2022 la Billing ha visitato i siti di tre delle più grandi ex basi statunitensi in Afghanistan –Nangarhar, Kandahar e Parwan – per documentare quel che gli Usa hanno lasciato sul terreno e ricorda: «Sapevo che l’effetto dell’esercito americano sull’Afghanistan e sulla sua popolazione rispecchiava i problemi dell’Iraq, ma era molto meno documentato».

Ad accoglierla all’aeroporto di Kabul c’era una scritta sul muro: “Clean up your fucking trash” ma, durante la loro caotica fuga, gli americani e gli altri occidentali  non avevano lasciato solo spazzatura: «Avevano riempito l’aria di inquinanti tossici e scaricato i loro liquami grezzi nei campi e nei corsi d’acqua in tutto l’Afghanistan – si legge nell’inchiesta – Non affrontando più quella minaccia, le enormi ex basi statunitensi conservano ancora una serie di detriti velenosi e si stagliano silenziosamente contro il maestoso paesaggio».

Ormai nel cielo dell’Afghanistan non ci sono più le colonne di fumo nero ma resta la pesantissima eredità di liquami e rifiuti scaricati nei campi e nei corsi d’acqua dagli appaltatori militari statunitensi, le conseguenze di aver respirato sostanze inquinanti velenose provenienti dalle fosse di combustione all’aperto e molti soldati afghani e statunitensi hanno problemi di salute collegabili al loro lavoro nelle basi militari americane in Afghanistan.  Dove gli statunitensi hanno lanciato la “madre di tutte le bombe” credendo di spazzare via un complesso di grotte utilizzato dai militanti dello Stato islamico, la popolazione denuncia malattie della pelle che prima non esistevano e che non guariscono con nessuna medicina conosciuta.

L’aeroporto di Jalalabad ha ospitato per 20 anni i soldati afghani e statunitensi che hanno scaricato nei dintorni qualsiasi tipo di rifiuti, dalle maschere antigas alle attrezzature mediche, inquinando le falde idriche che la popolazione utilizza per bere e lavarsi. Le malattie renali, i problemi respiratori e le malattie della pelle sono in netto e continuo aumento. Sadullah Kakar, un ex dipendente del ministero delle frontiere e degli affari tribali ricorda che «Gli appaltatori scaricavano rifiuti “segretamente” in alcuni luoghi. Altre volte, lo scaricavano semplicemente nei campi proprio qui, vicino alla base. Nessuno poteva fermarli».

Poi c’erano i missili e i razzi che incombevano sulle case basse, dove si poteva sentire l’odore delle sostanze chimiche». L’esercito Usa ha schierato in Afghanistan il suo sistema missilistico HIMARS, e il sistema missilistico tattico ATACMS, che utilizzano propellenti con componenti pericolosi, compreso il perclorato, l’ingrediente principale del carburante per missili, che può influire sulla funzione tiroidea, può causare il cancro e persistere indefinitamente nell’ambiente. Le forze Usa sono state anche accusate di utilizzare munizioni all’uranio impoverito, come hanno fatto in Iraq.

Sabahuddin Saba, capo del dipartimento polmonare dell’ospedale di Jalalabad da 14 anni, cita molteplici cause per una serie di malattie respiratorie sofferte in tutta la regione: «L’inquinamento atmosferico può derivare dal lavoro con materiali come il silicio o il carbone, ad esempio: acuni agricoltori hanno quello che chiamiamo “polmone del contadino” perché lavorano nella polvere. Ma l’Afghanistan è stato devastato da bombe e attacchi aerei che hanno rilasciato sostanze chimiche che si sarebbero diffuse nelle aree circostanti e sarebbero state respirate dalle persone tutt’intorno. Vediamo molti pazienti con tosse cronica e quando abbiamo effettuato la TAC del torace, abbiamo scoperto il cancro ai polmoni. Molti altri pazienti soffrono di asma bronchiale, BPCO [broncopneumopatia cronica ostruttiva], bronchiolite ed enfisema. Ritengo che alcuni di questi pazienti siano stati esposti ai residui di polvere chimica o irritante delle bombe».

I pozzi sono la principale fonte di acqua potabile in Afghanistan. Un rapporto pubblicato nel 2017 su Environmental Monitoring and Assessment ha mappato la qualità dell’acqua in metà dell’Afghanistan, rilevando «Uuna serie di sostanze potenzialmente tossiche, tra cui il boro, nonché alti livelli di arsenico e fluoro in diverse aree». Altri studi sulla qualità dell’acqua condotti in alcune località dell’Afghanistan hanno rilevato nichel, mercurio, cromo, uranio e piombo che possono causare gravi danni all’organismo.

In un Paese dove la gestione dei rifiuti è inesistente, anche la popolazione i scarica la spazzatura nei canali della città e in discariche abusive lungo le strade, ma questo non può competere con l’enorme quantità di rifiuti pericolosi provenienti dalle basi militari Usa e NATO, compresi i liquidi dei bagni chimici delle truppe statunitensi. Anche se in patri l’esercito Usa deve attenersi a regole severe per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti igienici, In Afghanistan queste regole non valevano.

Secondo un rapporto del 2021 di  Sierra Club and Ecology Center, «Anche i fanghi di depurazione presenti nei fertilizzanti americani possono contenere una serie dannosa di sostanze chimiche , tra cui diossine, microplastiche, furani, policlorobifenili (PCB), idrocarburi policiclici aromatici e livelli allarmanti di PFAS tossici – note anche come “sostanze chimiche per sempre” – che possono richiedere decenni o addirittura secoli per degradarsi naturalmente. I PFAS sono presenti anche in diverse sostanze utilizzate dalle forze armate statunitensi, comprese le schiume utilizzate per combattere gli incendi derivanti dal petrolio».  A metà del 2022, le forze armate Usa non avevano ancora iniziato le pulizie in nessuno dei centinaia di siti negli Stati Uniti identificati come altamente contaminati da PFAS. La Billing fa notare che «Uno studio federale pubblicato a luglio ha stabilito, per la prima volta, un collegamento diretto tra PFAS e cancro ai testicoli in migliaia di militari statunitensi. Le donne incinte esposte ai PFAS hanno un aumentato rischio di ipertensione e diabete. Anche i bambini nel grembo materno e i neonati sono vulnerabili, poiché gli studi hanno scoperto che i PFAS possono influenzare la funzione placentare ed essere presenti nel latte materno. L’esposizione ai PFAS è stata anche collegata alla diminuzione del peso alla nascita dei neonati, alle disfunzioni dello sviluppo tra i neonati e all’aumento del rischio di malattie più avanti nella vita». Anche se i liquami militari vengono sottoposti a un processo di trattamento, la ricerca ha dimostrato che «I PFAS e altre sostanze chimiche tossiche non possono essere rimossi».

Nel 2017, l’Agenzia nazionale per la protezione ambientale dell’Afghanistan ha affermato che il 70% dell’acqua sotterranea di Kabul era contaminata da batteri, microbi e sostanze chimiche nocive e non era sicura per il consumo umano. Altre grandi città, tra cui Jalalabad, hanno lo stesso problema. La capitale dell’Afghanistan aveva un impianto pubblico per il trattamento delle acque reflue, quello di Makroyan, che trattava almeno 21.000 galloni di liquami grezzi ogni mese dai bagni portatili dell’ambasciata americana e 12.000 galloni da quelli utilizzati dalle truppe statunitensi e della coalizione. Tutto questo veniva convogliato nel fiume Kabul. L’impianto ha smesso di funzionare nel 2018 e le acque reflue non trattate sono state scaricate nel fiume prima di confluire negli scarichi cittadini, mettendo in pericolo la salute di migliaia di residenti.

I medici dell’ospedale pubblico di Jalalabad attribuiscono molti dei problemi di salute dei loro pazienti all’inquinamento dell’acqua, dell’aria e del suolo provocato dalla base americana.

Nel corso degli anni, il Dipartimento della difesa Usa  ha dovuto affrontare una serie di cause legali per l’acqua contaminata nelle sue basi in patria e all’estero, comprese accuse di contaminazione da carburante per aerei e uranio impoverito. La Billing ha inviato via e-mail delle domande all’United States Central Command (CENTCOM) che negato che l’esercito americano avesse scaricato acque reflue, nere o grigie, nei corsi d’acqua in Afghanistan, affermando che invece erano state utilizzate  «Lagune/stagni di decantazione e campi di lisciviazione (…) Non sono stati scaricati direttamente sul terreno. Le acque reflue venivano raccolte e trasportate dagli appaltatori verso un impianto di trattamento e smaltimento della nazione ospitante». Inoltre, nonostante le numerose testimonianze che asseriscono il contrario, il CENTCOM dice di aver gestito per l’ultima volta un pozzo di combustione all’aperto in Afghanistan il 28 dicembre 2020».

All’ufficio regionale NEPA di Kandahar, Matiullah Zahen smentisce il CENTCOM: «Un anno e mezzo fa, siamo andati alla base e abbiamo detto loro cosa potevano e non potevano bruciare e dove, che doveva essere un posto specifico, non solo scaricare e bruciare ovunque. Il modo di pensare dei comandanti della base era: “E’ compito dell’appaltatore gestire i rifiuti, non mi interessa come lo fa, toglimelo da davanti. Ho altri problemi, sto combattendo una guerra».

Le normative CENTCOM specificano che quando un’installazione supera i 100 dipendenti statunitensi per 90 giorni, deve sviluppare un piano per l’installazione di alternative ai pozzi di combustione all’aperto per lo smaltimento dei rifiuti. Funzionari del CENTCOM hanno detto al SIGAR che «Nessuna installazione americana in Afghanistan ha mai rispettato le normative». Durante i primi 4 anni in Afghanistan, l’esercito statunitense ha utilizzato fosse di combustione all’aperto quasi esclusivamente per smaltire i rifiuti solidi. Solo nel 2004 il Dipartimento della Difesa ha iniziato a introdurre nuovi metodi di smaltimento, tra cui discariche e incenerimento, un anno dopo che i soldati di ritorno dal servizio lamentavano problemi respiratori e asma.

Nel 2009 il CENTCOM stimò che c’erano 251 fosse attive in Afghanistan, un aumento del 36,4% rispetto a soli 4 mesi prima. Nello stesso anno, studi sanitari sollevarono preoccupazioni sul fatto che il fumo delle fosse, contaminato da piombo, mercurio e diossine, potesse danneggiare le ghiandole surrenali, i polmoni, il fegato e lo stomaco. Nel 2011, le linee guida hanno finalmente stabilito che le fosse per gli incendi dovrebbero essere posizionate lontano dalle aree vicine alle truppe Usa.

Le fposse di combustione erano gestite da appaltatori come KBR che ha dovuto affrontare numerose cause legali legate ai pozzi di combustione e agli impianti di trattamento delle acque che gestiva sia in Iraq che in Afghanistan. I rifiuti bruciati nelle fosse a cielo aperto includevano petrolio e lubrificanti; vernici, amianto, solventi, grassi, soluzioni detergenti e materiali da costruzione che contengono formaldeide, rame, arsenico e acido cianidrico; fluidi idraulici, fluidi antigelo per aeromobili, antigelo, munizioni e altri ordigni inesplosi; contenitori metallici, mobili e gomma, parti Humvee e pneumatici; e scarti di cibo, plastica, polistirolo, legno, batterie agli ioni di litio, apparecchiature elettriche, vernici, prodotti chimici, uniformi, pesticidi e rifiuti medici e umani. Dentro quelle stesse fosse sono state gettate anche carcasse di animali e persone, comprese parti del corpo.

Nel 2012 l’aeroporto di Kandahar ha prodotto più di 100 tonnellate di rifiuti solidi al giorno e più di 5 milioni di litri di acque reflue provenienti da 30.000 bagni portatili. Quell’anno il DOD portò per la prima volta 23 inceneritori a Kandahar per un costo di quasi 82 ​​milioni di dollari, ma le macchine si rivelarono estremamente inaffidabili e costose da gestire.  Nel 2015, l’ispettore generale della SIGAR ha definito «Iindifendibile» l’uso di fosse di combustione all’aperto.

Secondo lo studio “Determinants of Congenital Anomalies in Afghanistan”, pubblicato nel 2012 da Hashimi, Said Mujahid del KIT – Royal Tropical Institute  dei Paesi Bassi, il numero di difetti congeniti in Afghanistan ogni 1.000 persone è più del doppio di quello degli Stati Uniti». Inoltre, lo studio rileva inoltre che «Una maggiore esposizione materna a determinate sostanze chimiche può influenzare lo sviluppo del feto e contribuire ad anomalie congenite. Un aumento del rischio di anomalie congenite è stato segnalato nelle donne afghane che lavorano nel settore agricolo e in quelle che vivono vicino a discariche di rifiuti pericolosi». Neonati e bambini Afghani risultano esposti a metalli potenzialmente tossici come tungsteno, titanio, piombo, mercurio, cadmio, cromo, torio e uranio che sono utilizzati nelle armi e nell’hardware militare e le anomalie risultanti più comuni sono difetti cardiaci e difetti del tubo neurale.

Al culmine della presenza americana in Afghanistan, Bagram bruciava tra i 2.300 e i 4.000 metri cubi di rifiuti al giorno, sufficienti a riempire da 175 a 300 camion. Il fumo proveniente dalle fosse di combustione, mescolato a polvere e altro inquinamento, soffocava le guardie mentre lavoravano in turni di 12 ore ai checkpoint della base e alla torre di guardia alta 10 metri.  Erano entrate in vigore nuove regole che proibivano la combustione di materiali specifici, ma i ricercatori hanno scoperto che l’81% dei rifiuti finiva ancora nella fossa di combustione, compresi oggetti proibiti come sacchetti di plastica, materiali da imballaggio, materiali da costruzione i e bombolette spray. Uno studio ha crrcato di capire cosa respiravano davvero i soldati e i  risultati sono stati inequivocabili: «I livelli di inquinanti atmosferici registrati dai monitor indossati da ciascun soldato superavano il livello di esposizione militare a breve termine previsto dalle linee guida. Quelli vicino al pozzo di combustione e al complesso di smaltimento dei rifiuti hanno superato le soglie di qualità dell’aria dell’EPA statunitense di un fattore superiore a 50».

Nel 2011, una nota dell’esercito Usa affermava che «Le alte concentrazioni di polvere e rifiuti bruciati presenti nell’aeroporto di Bagram avrebbero potuto influenzare la salute dei veterani per il resto della loro vita. La la quantità di inquinanti nell’aria di Bagram supera di gran lunga i livelli consentiti dalle linee guida del governo statunitense».

Poi c’è stato lo scarico delle acque reflue a Gulai Kali dove ogni giorno gli appaltatori americani della base portavano da sette a dieci cisterne che trasportavano l’acqua dei gabinetti e la scaricavano nei canali e la gente ancora adesso non beve quell’acqua perché è troppo sporca.

Quando nel giugno 2021 la gente di  Gulai Kali ha sentito forti e frequenti esplosioni provenire dalla base  Usa, qualcuno ha cominciato a capire che stavano ordigni, armi e veicoli militari in modo che i talebani non potessero usarli e Anche Zainul Abiden Abid, capo della NEPA, è stato tenuto lontano: «Al nostro personale non era permesso entrare nella base quel mese, ma potevamo vedere le nuvole di fumo che si alzavano».

Mentre gli americani a Kabul facevano freneticamente le valigie, alla fine di agosto 2021 c’era ancora attivo una fossa di combustione utilizzato dal personale dell’ambasciata  Usa proprio nel cuore di Kabul e in cima alla c’era una foto di John Sopko, l’ispettore generale americano per la ricostruzione dell’Afghanistan.

L’articolo La guerra ha devastato l’ambiente dell’Afghanistan e la salute del suo popolo sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.