Il polietilene è una delle materie plastiche più resistenti e utilizzate. Insieme a polipropilene e polistirene, costituisce il 70% della produzione totale di plastica. L’inquinamento da plastica rappresenta una minaccia per la salute e l’ambiente e la biodegradazione da parte di microrganismi come batteri e funghi rappresenta una possibile soluzione per affrontare il problema dei rifiuti di plastica. Ma, finora, solo pochi microrganismi sono noti per essere in grado di abbattere i duri polimeri plastici del polietilene, e nella maggior parte dei casi è necessario un pretrattamento aggressivo per garantire l’ossidazione e consentire così ai microrganismi di esercitare qualsiasi effetto sulla plastica.

Il nuovo studio “Wax worm saliva and the enzymes therein are the key to polyethylene degradation byGalleria mellonella“ pubblicato su Nature Communications dal team di Federica Bertocchini del Centro de Investigaciones Biológicas Margarita Salas – Consejo Superior de Investigaciones Cientificas  (CIB-CSIC) presso il Centro di ricerca biologica Margarita Salas (CIB-CSIC) dimostra che la saliva della tarma maggiore della cera o tignola degli alveari  (Galleria mellonella) contiene  enzimi in grado di degradare la plastica.

I ricercatori spiegano che «La scoperta di questi enzimi, che appartengono alla famiglia delle fenolo-ossidasi e che possono rilasciare rapidamente polietilene, apre una serie di applicazioni per il trattamento o il riciclaggio dei rifiuti di plastica».

La Bertocchini ricorda che «Affinché la plastica si degradi, l’ossigeno deve penetrare nel polimero (la molecola di plastica). Questo è il primo passaggio dell’ossidazione, che solitamente è il risultato dell’esposizione ai raggi solari o alle alte temperature, e rappresenta un collo di bottiglia che rallenta il degrado delle materie plastiche come il polietilene, uno dei polimeri più resistenti. Ecco perché, in condizioni ambientali normali, la plastica impiega mesi o addirittura anni per degradarsi. Gli enzimi ora scoperti sono i primi e gli unici conosciuti in grado di degradare il polietilene plastico ossidando e scomponendo il polimero molto rapidamente (dopo alcune ore di esposizione), senza richiedere pretrattamenti e lavorando a temperatura ambiente».

Il team che ha realizzato lo studio – guidato da Sanluis-Verdes e Colomer-Vidal e del quale hanno fatto parte anche Patrizia Falabella dell’università della Basilicata e ricercatori dell’Institut de Biologia Molecular de Barcelona, ​​dell’Universidad de Burgos, di Sequentia Biotech SL e dell’Universidad de Cantabria – ha analizzato la saliva al microscopio elettronico e ha osservato un elevato contenuto proteico dal quale sono stati isolati e identificati due enzimi. Queste due proteine, chiamate Demetra e Cerere, appartengono alla famiglia degli enzimi fenolo-ossidasi. La ricerca ha scoperto che «L’enzima Demetra ha un effetto significativo sul polietilene, lasciando segni (piccoli crateri) sulla superficie della plastica, visibili ad occhio nudo. Inoltre, i prodotti di degradazione si formano dopo l’esposizione del polietilene a questo enzima. Anche l’enzima Cerere ossida il polimero, ma non lascia segni visibili, suggerendo che i due enzimi hanno un effetto diverso sul polimero».

I ricercatori del CIB-CSIC concludono: «I meccanismi con cui questi enzimi possono degradare la plastica sono ancora sconosciuti e sono necessarie ulteriori ricerche che combinano strumenti biotecnologici con la conoscenza della biologia di questi insetti».

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