Nei giorni scorsi il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto, ha firmato il cosiddetto decreto biocarburanti – di cui si attende ancora la pubblicazione in Gazzetta ufficiale – scatenando la reazione delle principali associazioni ambientaliste italiane.
Legambiente, Greenpeace Italia, Wwf Italia, Kyoto club, Transport & Environment, Clean cities campaign Italy, campagna Sbilanciamoci! e Cittadini per l’aria hanno inviato una lettera congiunta al ministro per esprimere forti perplessità nel merito e per sollecitare un incontro per discutere sul tema in questione, sulla revisione del Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima) che l’Ue impone entro giugno e sullo stop alle auto con emissioni di CO2 dal 2035.
Nella lettera, le associazioni sollecitano il ministro a promuovere le rinnovabili elettriche e il biometano destinato agli usi non elettrificabili; nel frattempo, oggi pomeriggio saranno di fronte al palazzo del Consiglio a Bruxelles, per rilanciare il loro appello in occasione del trilogo sulla revisione della direttiva sulle energie rinnovabili (Red), che include ancora il ricorso a biocarburanti insostenibili.
«Dal decreto – argomentano gli ambientalisti – si evince che non verranno promosse le rinnovabili nei trasporti, ma verranno sostenuti solo i biocarburanti e, in futuro, i carburanti sintetici e quelli con CO2 “riciclata”, provenienti da rifiuti plastici. Non viene, inoltre, menzionata l’elettricità da fonti rinnovabili sia quella che alimenta le auto elettriche che il Tpl (tram, autobus, metropolitane). I biocarburanti, anche quelli avanzati, non sono (per la scienza, oltre che per i regolamenti e le direttive europee) a “zero emissioni” e quindi non sono paragonabili all’elettricità rinnovabile».
Nello specifico, gli ambientalisti sottolineano «che un quarto dei biocarburanti incentivati in “doppia contabilità” (500 milioni pagati dagli automobilisti) rappresenterebbero un vero e proprio falso biodiesel. Questo perché gli importatori di oli vegetali usati non hanno fornito una credibile certificazione, come quella prevista per gli oli provenienti dalla raccolta differenziata dei consorzi di riciclaggio nazionali (Conoe e Renoils). Tale pratica che porta a triplicare le emissioni di CO2 e bruciare le foreste tropicali del sud-est asiatico per far posto alla coltivazione delle palme, è stata già segnalata nel 2020 dagli stessi rappresentanti dei governi europei alla Commissione. Secondo le stime di Trasport & Environment a causa dei biocarburanti derivati dall’olio di palma e dalla soia sono a rischio 630.000 ettari di foreste pari a 900.00 campi da calcio».
Come intervenire? Per porre fine all’inganno del “greenwashing” nell’importazione di oli esausti, perlopiù dalla Cina, gli ambientalisti propongono di revisionare il decreto per rendere obbligatoria la certificazione della raccolta differenziata per i Comuni, i ristoranti e le mense. Ciò implica che anche gli Uco di importazione dovrebbero dimostrare la loro provenienza dalle mense e friggitorie cinesi e che qualcuno deve certificare e controllare la loro esistenza, proprio come fanno i Consorzi nazionali.
«Se il Governo italiano non controlla le importazioni, in assenza di certificazioni serie, allora – concludono gli ambientalisti – è necessario che gli oli esausti di importazione siano esclusi dalla contabilità come rinnovabili e dagli incentivi di mercato».
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