La plastica è ovunque, sia che si tratti dei sacchetti e dei contenitori per i generi alimentari che di articoli per la casa come shampoo e bottiglie di detersivo. Ma c’è anche la plastica che non vediamo: le particelle microscopiche che vengono rilasciate dai prodotti più grandi  e che possono finire nell’ambiente e che possiamo ingerire.

Per comprendere meglio la diffusione di queste plastiche microscopiche, il nuovo studio “Common Single-Use Consumer Plastic Products Release Trillions of Sub-100 nm Nanoparticles per Liter into Water during Normal Use”, pubblicato su Environmental Science and Technology dagli statunitensi Christopher Zangmeister, James Radney, Kurt Benkstein e Berc Kalanyan del National Institute of Standards and Technology (NIST) ha analizzato prodotti di consumo ampiamente utilizzati, scoprendo che «Quando i prodotti di plastica sono esposti all’acqua calda, rilasciano nell’acqua trilioni di nanoparticelle per litro».

Zangmeister evidenzia che «Qui, il principale punto di partenza è che ci sono particelle di plastica ovunque guardiamo. Ce ne sono molte. Trilioni per litro. Non sappiamo se hanno effetti negativi sulla salute di persone o degli animali. Di certo sappiamo solo che sono presenti».

Al NIST  ricordano che «Esistono molti tipi diversi di materiali plastici, ma sono tutti costituiti da polimeri, sostanze naturali o artificiali composte da grandi molecole legate tra loro. Gli scienziati hanno trovato particelle microscopiche di queste plastiche più grandi negli oceani e in molti altri ambienti. I ricercatori li classificano in due gruppi: micro e nanoplastiche.  Le microplastiche sono generalmente considerate più piccole di 5 millimetri di lunghezza e potrebbero essere viste ad occhio nudo, mentre le nanoplastiche sono più piccole di un milionesimo di metro (un micrometro) e la maggior parte non può nemmeno essere vista con un microscopio standard. Studi recenti hanno dimostrato che alcuni prodotti di consumo che trattengono liquidi o interagiscono con essi, come i biberon in polipropilene (PP) e le bustine di tè in plastica di nylon, rilasciano queste particelle di plastica nell’acqua circostante».

Nel nuovo  studio, i ricercatori del NIST hanno esaminato due tipi di prodotti in plastica commerciali: sacchetti di nylon per uso alimentare, come i fogli di plastica trasparente da forno per creare una superficie antiaderente che prevenga la perdita di umidità, e le tazze monouso per le bevande calde. I bicchieri per bevande che hanno analizzato erano rivestiti con polietilene a bassa densità (LDPE), una pellicola di plastica morbida e flessibile utilizzata spesso come rivestimento.  I bicchieri per bevande rivestiti in LDPE sono stati esposti all’acqua a 100 gradi Celsius per 20 minuti.

Per analizzare le nanoparticelle rilasciate da questi prodotti in plastica, i ricercatori hanno prima dovuto capire come rilevarle. Zangmeister spiega: «Immaginate di avere dell’acqua in una generica tazza da caffè da asporto. Potrebbe avere molti miliardi di particelle e dovremmo capire come trovare queste nanoplastiche. E’ come trovare un ago in un pagliaio».  Così il team del NIST ha dovuto usare un nuovo approccio. «Abbiamo utilizzato  un modo per prendere l’acqua che è nella tazza, spruzzarla in una nebbia sottile e asciugare la nebbia e tutto ciò che è rimasto nella soluzione». Attraverso questo processo, le nanoparticelle vengono isolate dal resto della soluzione. Si tratta della stessa tecnica che ra già stata utilizzata per rilevare minuscole particelle nell’atmosfera e Zangmeister fa notare che «Quindi, non stavamo reinventando la ruota, ma la stavamo applicando a una nuova area».

Le nanoparticelle contenute nella nebulizzazione asciugata sono state ordinate in base alla loro dimensione e carica, consentendo ai ricercatori di trovare una dimensione particolare, ad esempio nanoparticelle di circa 100 nanometri, e passarle in un contatore di particelle. Le nanoparticelle sono state prima esposte a un vapore caldo di butanolo, un tipo di alcol e poi raffreddate rapidamente. Quando l’alcol si è condensato, le particelle si gonfiavano da nanometri a micrometri, rendendole molto più rilevabili. Questo processo è stato automatizzato ed eseguito da un programma per computer, che conta le particelle.

I ricercatori hanno potuto anche identificare la composizione chimica delle nanoparticelle posizionandole su una superficie e osservandole con la microscopia elettronica a scansione, che acquisisce immagini ad alta risoluzione di un campione utilizzando un fascio di elettroni ad alta energia e infrarossi e la Fourier-transform infrared spectroscopy, una tecnica che cattura lo spettro della luce infrarossa di un gas, solido o liquido. Tutte queste tecniche utilizzate insieme hanno fornito un quadro più completo delle dimensioni e della composizione delle nanoparticelle.

I ricercatori hanno così scoperto che «La dimensione media delle nanoparticelle era compresa tra 30 nanometri e 80 nanometri, con poche sopra i 200 nanometri. Inoltre, la concentrazione di nanoparticelle rilasciate nell’acqua calda dal nylon per uso alimentare era 7 volte superiore rispetto ai bicchieri monouso per bevande».

Zangmeister  evidenzia che «Nell’ultimo decennio gli scienziati hanno trovato plastica ovunque abbiamo guardato nell’ambiente. L’hanno osservata nella neve in Antartide, il fondo dei laghi glaciali, e hanno trovato microplastiche più grandi di circa 100 nanometri, il che significa che probabilmente non erano abbastanza piccole da entrare in una cellula e causare problemi fisici. Il nostro studio è diverso perché queste nanoparticelle sono davvero piccole e un grosso problema perché potrebbero entrare all’interno di una cellula, interrompendone eventualmente la funzione. Anche e nessuno ha stabilito che sia successo».

La Food and Drug Administration Usa (FDA) regolamenta le plastiche che entrano in contatto con il cibo e l’acqua potabile e stabilisce standard e misure di sicurezza per determinare cosa è sicuro. I ricercatori della FDA eseguono test rigorosi su queste plastiche e misurano quanta massa plastica viene persa quando viene esposta all’acqua calda. Ad esempio, la FDA ha stabilito che il nylon per uso alimentare (come quello utilizzato nelle bustine di tè) può perdere in sicurezza fino all’1% della sua massa in condizioni di alta temperatura. Utilizzando la loro nuova tecnica, i ricercatori NIST hanno scoperto che è andato perso un millesimo della massa, il che è significativamente al di sotto degli attuali limiti FDA per ciò che è considerato sicuro.

Zangmeister  fa notare che «Non esiste un test utilizzato comunemente per misurare l’LDPE che viene rilasciato nell’acqua da oggetti come le tazze da caffè, ma esistono test per la plastica di nylon. I risultati di questo studio potrebbero aiutare negli sforzi per sviluppare tali test». Intanto il team del NIST ha analizzato altri prodotti e materiali di consumo, come tessuti, cotone poliestere, sacchetti di plastica e acqua stoccata un tubazioni di plastica.

Zangmeister conclude: «I risultati di questo studio, combinati con quelli sugli altri tipi di materiali analizzati, in futuro apriranno nuove strade di ricerca in questo settore. La maggior parte degli studi su questo argomento vengono scritti per educare i colleghi scienziati. Questo documento farà entrambe le cose: educare gli scienziati e svolgere attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica».

L’articolo Ogni giorno i prodotti di plastica rilasciano nell’acqua trilioni di particelle microscopiche sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.