Entro il 2060 il ritmo del consumo di plastica sul nostro Pianeta potrebbe triplicarsi rispetto ad oggi, passando da 460 milioni di tonnellate registrate nel 2019 a oltre 1.230 milioni di tonnellate previste per il 2060. È il preoccupante allarme lanciato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) in un nuovo report.

Gli autori del rapporto, che segue un precedente report sullo stesso tema pubblicato lo scorso febbraio, hanno provato ad essere lungimirante e a guardare alle nostre abitudini in uno scenario globale che potrebbe concretizzarsi nei prossimi decenni, se continuiamo a produrre e gettar via oggetti in plastica ai ritmi crescenti di oggi.

Ma non solo: oltre a prevedere quali rifiuti aumenteranno il loro peso sul Pianeta e in quali regioni del mondo essi si concentreranno, i ricercatori hanno stilato una serie di proposte concrete rivolte ai governi per arginare o eliminare la dispersione della plastica nell’ambiente.

Da una parte si sente la necessità di imporre tassazioni ad hoc sugli imballaggi plastici come forma di deterrenza al loro uso, dall’altra quella di sostenere economicamente pratiche virtuose come il riciclo del materiale a fine vita o la riparazione degli oggetti rotti prima che questi finiscano in discarica.

Nel frattempo, dobbiamo ripensare al nostro modo di produrre la plastica se vogliamo rendere questo materiale sempre più sostenibile sia per quanto riguarda le materie prime che i processi produttivi. In questo campo, le tecnologie hanno fatto passi da gigante negli ultimi decenni, ma molto può e deve essere ancora messo in campo.

OCSE punta il dito anche contro la mancanza di uno sforzo coordinato in tutte le aree del globo: attualmente, solo 13 Paesi al mondo hanno un sistema di incentivi statali per il corretto smistamento dei rifiuti plastici e solo 25 hanno all’attivo anche politiche di incoraggiamento al riciclo, mentre in circa 120 Paesi (fra cui il nostro) vige il divieto di utilizzo della plastica monouso come misura preventiva ai rifiuti plastici.

Dall’altra parte, nei Paesi in via di sviluppo, non dispongono ancora delle tecnologie e dei finanziamenti sufficienti a occuparsi del problema dello smaltimento della plastica. Per vincere questa battaglia, c’è bisogno dell’azione coordinata di tutti i governi del mondo, sottolinea OCSE, e l’eguaglianza delle politiche di riciclo e smaltimento sembra ancor più irraggiungibile rispetto all’eliminazione definitiva del rifiuto stesso.

La natura del problema

Il report pubblicato a febbraio ha messo in luce quali sono gli oggetti in plastica che maggiormente hanno impatto sul fenomeno. Prodotti in plastica monouso o dalla vita molto breve (5 anni) rappresentano più della metà di tutti i rifiuti plastici: la maggior parte di essi proviene dalle confezioni o dalle stoviglie per uso alimentare, mentre il resto è rappresentato da prodotti di uso comune (giocattoli, spazzolini, spugne…) o dai tessuti dei nostri vestiti.

©greenMe su dati OCSE

 

Riassumendo, i 3 oggetti di uso comune che stanno facendo triplicare l’epidemia di plastica nel mondo sono:

Packaging  (per esempio bottiglie in PET e imballaggi alimentari), 40%
Altri oggetti di uso comune: giocattoli, spazzolini, spugne, 12%
Tessuti, 11%

Ma che fine fanno tutti i rifiuti in plastica che vengono prodotti ogni anno? Metà di essi finisce stoccato nelle discariche, mentre quasi un quarto viene disperso nell’ambiente (bruciato in maniera illegale e altamente inquinante, disperso nei corsi d’acqua o negli oceani). Poco meno del 20% di tutta la plastica prodotta annualmente viene correttamente incenerita e solo il 9% riciclata.

©greenMe su dati OCSE

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Fonte: OCSE, Global Plastic Outlook

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