L’economia circolare dei rifiuti organici ha grande rilevanza nel panorama nazionale: la frazione umida (Forsu) è la grande protagonista della raccolta differenziata insieme ai rifiuti da imballaggio, che rappresentano l’8% di tutti i rifiuti generati annualmente nel Paese. Eppure è in grande difficoltà, come emerge dall’analisi elaborata dal Consorzio italiano compostatori (Cic) a partire dall’ultimo rapporto Ispra sui rifiuti urbani.

«I rifiuti organici – spiega la presidente del Cic, Lella Miccolis – rappresentano oltre il 38% dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato. Tuttavia come Cic segnaliamo una serie di criticità relative al settore che devono essere affrontate con urgenza: in particolare, bisogna intervenire sull’implementazione delle raccolte differenziate dell’umido su tutto il territorio italiano, migliorare la qualità di quanto raccolto e direzionare correttamente gli investimenti nel settore per arginare gli effetti di una sovracapacità impiantistica».

Infatti in Italia (dati 2022) sono state raccolte 7,25 mln t di rifiuti organici considerando la frazione umida (5,46 mln t) e verde (1,79 mln t), registrando una diminuzione di circa 144mila t rispetto al 2021: la Forsu è infatti calata di 4.400 t, mentre il verde (complice il caos normativo, nonostante il ministero dell’Ambiente abbia chiarito la natura di rifiuto di sfalci e potature) di 139mila t.

Ampliando le osservazioni al totale dei rifiuti a matrice organica (frazione umida, verde, fanghi civili ed agroindustriali e altro) complessivamente trattati negli impianti italiani, si arriva invece a un totale di 8,35 mln t gestite, circa 55mila t in più dell’anno precedente: di questi, il 60% è costituito da frazione umida, il 20% da verde, il 14% da fanghi di depurazione e il restante 8% da rifiuti dell’agroindustria.

I benefici apportati dalla filiera di gestione dei rifiuti organici restano sensibili, dato che la loro valorizzazione ha portato a produrre 1,9 mln t di compost e 409 mln mc di biogas. Una valorizzazione resa possibile dagli impianti industriali presenti lungo lo Stivale.

Si tratta in totale di 357 impianti di trattamento biologico, autorizzati a trattare circa 12 mln t/a di rifiuti a matrice organica. In particolare, sono 283 (10 in meno del 2021) gli impianti di solo compostaggio che producono compost. Salgono a 74 (11 in più rispetto al 2021) gli impianti che trattano i rifiuti a matrice organica mediante digestione anaerobica, in prevalenza integrati con il processo di compostaggio, per la produzione di compost e biogas. Oltre il 65% della frazione umida viene riciclata attraverso processi integrati che includono una fase di digestione anaerobica.

Dove stanno dunque i problemi? In primis, Cic evidenzia lo stallo nella crescita della raccolta della Forsu. Dal 2022 dovrebbe essere obbligatoria in tutta Italia, ma di fatto mancano all’appello 675 Comuni (con 900mila abitanti), e in altri 835 (con 4,5 mln di abitanti) è ben lontana da performance accettabili (50 kg/a procapite).

In secondo luogo, oltre alla quantità raccolta sta diminuendo – ormai da anni, come evidenzia il Cic almeno dal 2021 – anche la qualità, a causa di conferimenti errati: la purezza merceologica media della frazione umida raccolta è scesa dal 93,8% all’attuale 92,9%. Ovvero la frazione umida raccolta e avviata agli impianti di trattamento presenta quindi una percentuale di materiali impropri (materiale non compatibile) pari al 7,1% del materiale conferito. Un problema soprattutto per gli impianti più moderni e necessari, i biodigestori.

«È urgente ribadire quanto sia importante non solo la quantità ma anche la qualità del rifiuto organico raccolto in modo differenziato – evidenzia il direttore del Cic, Massimo Centemero – che sta diminuendo anche a causa dell’utilizzo ancora elevato di sacchetti non compostabili nonostante il divieto: solo un ingrediente di elevata qualità (per esempio un umido con poche impurità fisiche) può garantire un sistema efficiente, sostenibile e in grado di generare prodotti di qualità».

Entrambi i problemi si incrociano col terzo, riferito alla pianificazione della dotazione impiantistica nazionale. Con una raccolta differenziata a regime in tutta Italia, per il Cic la potenzialità massima di raccolta di rifiuto organico (umido e verde) raggiungibile nel medio periodo è di 8,2 mln t/a, di cui circa 6,5 mln t/a di Forsu. Ma già oggi l’Italia ha una dotazione impiantistica superiore, anche se in molti casi datata e dunque da ammodernare, che copre le già citate 12 mln t/a.

«Ad oggi l’autosufficienza impiantistica è garantita a livello nazionale e macro regionale – dichiarano nel merito dal Cic – La promozione di altra capacità impiantistica (anche incentivata economicamente da fondi pubblici) può generare fenomeni di sovracapacità territoriale stante le due condizioni concomitanti: l’avvio all’autosufficienza territoriale e il mancato completamento delle raccolte della frazione umida in alcuni territori. Occorre quindi una maggiore pianificazione strategica nei territori che consideri questa nuova tendenza, per trovare un equilibrio sostenibile tra rifiuto prodotto e impiantistica dedicata».

Questo non significa, come evidenzia lo stesso Consorzio, che non sono necessari nuovi e moderni biodigestori anaerobici, ma sarà eventualmente necessario dismettere gli impianti più datati.

Nel merito il Cic «ribadisce il supporto all’incremento degli impianti integrati che prevedono la produzione congiunta di compost e di biometano. Tuttavia – conclude il Consorzio – è urgente in primis investire per promuovere l’effettivo riciclo con l’obiettivo di migliorare la produzione e l’utilizzo di compost, così da rispondere alla Direttiva europea che stabilisce che il riciclo di materia è prioritario rispetto al recupero di energia».

Quello che il Cic non dice perché non rientra nella sua sfera di competenza, è che c’è un’altra categoria d’impianti di cui c’è gran bisogno nel Paese, come sottolineato congiuntamente da Utilitalia e Ispra proprio in occasione dell’ultimo rapporto rifiuti: gli impianti per il recupero energetico delle frazioni secche non riciclabili meccanicamente, spaziando dai contestatissimi termovalorizzatori alle più moderne soluzioni di riciclo chimico o ossidazione termica.

Tutti impianti che non godono del prefisso “bio” come i biodigestori, e che sono dunque ancora più difficili da realizzare a causa del moltiplicarsi delle sindromi Nimby e Nimto sui territori.

L’articolo Rifiuti organici, calano quantità e qualità della raccolta differenziata: rischio troppi impianti sembra essere il primo su Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile.