La proposta per realizzare una bio-piattaforma energetica a Livorno, nell’area industriale del Picchianti che oggi ospita il termovalorizzatore cittadino, è stata illustrata ieri in un dibattito pubblico promosso dall’associazione “Per la Rinascita di Livorno”.

Un dibattito ospitato non a caso nella sede della Cna labronica, in quanto «le modalità di gestione dei rifiuti, che si traducono poi nella tariffazione Tari, sono un tema molto sentito dalle imprese», come ricordato in apertura dei lavori da Dario Talini, direttore Cna Livorno.

La proposta elaborata nel merito dall’associazione Rinascita, costituitasi nel 2016 dagli sforzi congiunti di ex dirigenti pubblici e professionisti, parte dal presupposto di una «decisione dell’Amministrazione comunale che non condividiamo, ovvero dismettere al 2023 il termovalorizzatore di Livorno. Non esistono motivazioni tecniche ed economiche che la supportino: è stata una decisione politica, ideologica e prematura in quanto ad oggi non abbiamo impianti alternativi. Certo, per il mantenimento in esercizio dell’impianto occorre il rinnovo dell’Autorizzazione unica ambientale (Aia)», argomenta il coordinatore del gruppo Ambiente dell’associazione, Luigi Cocchella, auspicando un confronto ad ampio spettro nel merito: «Vorremmo confrontarci con Aamps e Comune».

Ieri entrambi i soggetti non sono pervenuti al dibattito, a dispetto di una nutrita partecipazione di soggetti dalle sensibilità più diverse: non solo categorie imprenditoriali ma anche forze politiche (come Azione e Articolo 1), esponenti della società civile (comitato Oltre l’inceneritore, associazione Il centro) e il dirigente dell’area tecnica di Asa Michele Del Corso, che ha illustrato il progetto già avanzato dalla partecipata pubblica – insieme ad Aamps-Retiambiente e al Comune di Livorno – per realizzare al Picchianti un co-digestore in grado di gestire fanghi di depurazione e la frazione organica della raccolta differenziata (Forsu).

Un progetto che non parte da zero, dato che accanto all’inceneritore sono già presenti due digestori anaerobici che hanno un’importante volumetria addizionale da poter sfruttare; sarebbe dunque sufficiente un adeguamento di infrastrutture già esistenti, che in ingresso avrebbero fanghi di depurazione (per circa 5mila t/a) e Forsu (17mila t/a), dai quali ottenere biometano (1,8 mln mc l’anno) e 7mila t/a di fanghi disidratati e/o essiccati. Questi ultimi verrebbero poi indirizzati verso un impianto di compostaggio Aamps – ancora da realizzare – insieme a sfalci e potature dal territorio, per ottenere un ammendante compostato misto con fanghi.

Anche l’associazione Rinascita parte da questa proposta, rivendendone però l’assetto impiantistico per suggerire la possibilità di un’azione sinergica col termovalorizzatore: da qui potrebbe infatti arrivare sia il calore necessario all’operatività dei digestori anaerobici, sia per essiccare i fanghi di risulta, che potrebbero essere poi bruciati nello stesso impianto per ricavare energia o (previa verifica) venire utilizzati come ammendante in agricoltura.

Un approccio in qualche modo simile a quello portato avanti dal gruppo Cap – la società interamente pubblica che gestisce il servizio idrico integrato a Milano –, che il prossimo anno attiverà una biopiattaforma al posto del vecchio termovalorizzatore di Sesto San Giovanni: l’impianto unirà una nuova linea di termovalorizzazione per ricavare dai fanghi fosforo per fertilizzanti ma soprattutto energia per la rete locale di teleriscaldamento, ad una linea di digestione anaerobica per ottenere biometano dalla Forsu.

La grande differenza rispetto alla proposta labronica, dunque, è che a Sesto San Giovanni il nuovo termovalorizzatore non continuerà a bruciare la frazione secca dei rifiuti non riciclabili meccanicamente (del resto in Lombardia sono già 13 i termovalorizzatori).

Livorno potrebbe continuare a farlo dopo il 2023? Tutto passa dall’eventuale rinnovo dell’Aia, che sembra però un’ipotesi molto remota, visto anche che la Regione Toscana sta redigendo un nuovo Piano regionale sull’economia circolare nel quale è stata esclusa la realizzazione di nuovi termovalorizzatori; al loro posto si stanno valutando soluzioni impiantistiche più avanzate sotto il profilo ambientale, quelle offerte dal riciclo chimico.

C’è un però, legato alle tempistiche di realizzazione: «L’esito del bando regionale ha raccolto la disponibilità a realizzare nuovi impianti di riciclo chimico, che per l’entrata in esercizio prevedono però un transitorio», osserva Cocchella.

Ovvero questi impianti, prima di venire eventualmente realizzati, dovranno essere progettati, autorizzati e messi a terra. Prima del 2023, quando dovrebbe spegnersi l’inceneritore di Livorno? Difficile se non impossibile. In questo caso, dunque, in attesa che si concretizzi lo scenario del riciclo chimico, i nostri rifiuti irriciclabili finirebbero “a mercato”. Ovvero in discariche di prossimità quando va bene, oppure esportati – fuori Ato, Regione o anche al di là dei confini nazionali – quando va male. Con costi ambientali crescenti, come quelli economici che gravano sulla Tari a causa della carenza d’impianti.

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