In campagna elettorale il leader della Lega Matteo Salvini, oggi vicepremier e ministro delle Infrastrutture, fantasticava di realizzare la prima delle centrali nucleare promesse per l’Italia entro il 2030.

Ora che le elezioni sono vinte e il “sogno nucleare” è prontamente tornato nel cassetto, si scopre che entro il 2030 sarà forse pronto il Deposito unico nazionale per i rifiuti radioattivi, il cui iter è iniziato col decreto legislativo n. 31 del 2010 – durante il Governo Berlusconi IV, con la Lega in maggioranza e Meloni ministro della Gioventù – e il cui completamento era atteso entro il 2025, quando è previsto il rientro in Italia dei rifiuti prodotti dal riprocessamento del combustibile esaurito delle vecchie centrali nucleari nazionali.

L’informazione è arrivata direttamente dal Governo, in risposta all’interrogazione della deputata Chiara Braga: «L’emissione del provvedimento di autorizzazione unica del Dnpt potrebbe avvenire nel 2026 e la sua messa in esercizio nel 2030», a meno che non venga trovata un’intesa con le Regioni sul dove ospitare il Deposito; nessuna finora, neanche quelle governate dalla destra favorevole al nucleare, si è fatta avanti. In quel caso sarebbe il Governo a dover indicare la localizzazione, prospettando già uno slittamento ulteriore di 12 mesi.

Ad oggi non sappiamo neanche quali sarebbero le aree davvero idonee a ospitarlo; dal Governo fanno sapere che l’approvazione della Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) è prevista «verosimilmente entro il corrente anno». Per ora l’unica carta resa nota (nel 2021) resta quella delle aree potenzialmente idonee, ed è stata sufficiente per raccogliere contrarietà da ogni angolo del Paese.

Eppure, al contrario di nuove centrali nucleari, il Deposito nazionale rappresenta un’infrastruttura utile e necessaria per mettere in sicurezza i 31.812,5 mc (+60,9 mc in un anno) di rifiuti radioattivi oggi sparsi lungo lo Stivale in 67 depositi temporanei.

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